lunedì 31 agosto 2015

Il fantasma di Canterville e altri racconti

Sono passati centoquindici anni dalla morte prematura di Oscar Wilde, ma leggendo questi racconti ci si stupisce di quanto la sua prosa sia fresca e attuale, arguta, ironica e densa sia di humour che di verità profonde, contenuta in uno stile squisito seppur diverso, più rapido e meno frivolo (sto parlando dello stile, non dei contenuti…) rispetto a quello del suo romanzo più famoso.
A leggere alcuni dei nostri scrittori contemporanei viene da domandarsi se lo abbiano mai sentito nominare… (Wilde chi? Ah, sì… Dorian.).




Il fantasma di Canterville, il racconto che dà il titolo alla raccolta, è una parodia dei racconti di fantasmi tanto cari al genere gotico che all’epoca andava veramente forte, e insieme una presa in giro sia della nobiltà inglese che dei loro cugini americani. Una parentela non scevra da imbarazzanti implicazioni: “… la si sarebbe potuta portare ad esempio per avvalorare la tesi che gli inglesi oggigiorno hanno veramente tutto in comune con gli americani, tranne, naturalmente, la lingua.”
Questo povero fantasma di un nobile uxoricida (secondo lui aveva avuto ottime ragioni per uccidere la moglie: cucinava malissimo e non gli stirava bene le gorgiere… grande Wilde!), che per secoli ha terrorizzato gli abitanti del castello con le sue macabre apparizioni, viene ignorato, deriso e sbeffeggiato da un’intera famiglia di pragmatici yankees fino ad essere atterrito a sua volta da un pupazzo raffigurante proprio un fantasma costruito dai figli più piccoli. Ma poi la storia si chiude in modo piacevole, sentimentale e misterioso.
Così come gli altri racconti, enigmatici, con quel pizzico di sovrannaturale che stimola la curiosità, e la classe che contraddistingueva questo grande scrittore dalla vita sfortunata. Il suo acume emerge quasi da ogni riga, andando a costituire una sequela di quelle battute che oggi riempiono tutte le raccolte di aforismi: “Gli attori sono esseri fortunati, possono scegliere tra tragedia e commedia, soffrire o gioire, ridere o piangere. Nella vita reale questo non accade: la maggior parte di noi è costretta a recitare una parte senza averne i requisiti adatti. (…) Il mondo è un palcoscenico, ma i ruoli son mal distribuiti.
Oppure, solo per citarne alcune altre:
La correttezza non è mai interessante.
Non era davvero un gran ché. In vita sua non aveva mai detto una cosa che fosse brillante o malvagia.
Rimase stupito dalla discrepanza tra il vuoto ottimismo del giorno e i fatti crudi della vita. Era ancora molto giovane.
Le donne non vanno capite, ma amate.
Questi quattro racconti sono più “adulti” rispetto alle altre raccolte dal tono più immaginario e fiabesco che Wilde ha scritto per i suoi figli ma anche per tutti i ragazzi in genere, e nell’invenzione si può anche trovare un riferimento stretto alla società dell’epoca e a tutte le magagne che lo scrittore vedeva in essa.
Un aspetto che mi ha piacevolmente colpito è il tono con cui Wilde descrive i rapporti tra uomini e donne, dal fidanzamento al matrimonio condizionati dalle regole dell’establishment britannico, nei quali ho ritrovato una straordinaria somiglianza con gli stessi rapporti vergati però parecchie decine di anni dopo dalla penna di P. G. Wodehouse: sicuramente quest’ultimo era un profondo conoscitore di Wilde e lo ammirava talmente tanto da ricalcarne lo stile.
Mi è dispiaciuto invece il fatto che ho letto i racconti in un’edizione diversa rispetto a quella della quale ho inserito la copertina di cui sopra nella quale è pubblicizzata anche la prefazione di Jorge Luis Borges: la mia copia non la conteneva, e mi avrebbe fatto piacere invece leggere anche i commenti a riguardo del grande scrittore argentino.
Il Lettore

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