Non conoscevo Magda Szabó, classe 1917, scrittrice
ungherese scomparsa da pochi anni, e quando nel corso degli scambi librari
mattutini con il compagno di passeggiate lui mi ha dato questo volumetto ho
pensato subito di trovarmi di fronte a un’altra Agota Kristof (vedi). In effetti una linea di contatto c’è, ma dove
la Kristof sconfina nell’incomprensibilità, la Szabò resta nel concreto,
approfondendo l’analisi dei sentimenti che possono nascere tra due donne di
diversa estrazione sociale, ma passate entrambe per esperienze, come quelle della guerra e della dittatura, che le hanno segnate a fondo. Il filo
conduttore che unisce le due scrittrici risiede proprio nelle vicende
drammatiche dell’Ungheria, che hanno condizionato il comportamento di tutti fino
a incidere nei rapporti interpersonali.
L’Io
narrante del romanzo si
può identificare nella stessa autrice, riconosciuta scrittrice di ceto
medio-alto, che si trova a dover ricorrere all’aiuto di una donna di servizio
per sbrigare le faccende di casa. Conosce così Emerenc, la vera protagonista del libro, un’anziana professionista
delle pulizie il cui forte carattere e il cui particolare modo di pensare
verranno fuori dalle pagine a poco a poco rivelando, oltre alle tragedie
personali e del Paese in cui vivono, la difficoltà di costruire un rapporto
sereno tra due donne provenienti da estrazioni differenti.
“Io non lavo i panni sporchi al primo che capita”, tiene a precisare
Emerenc al primo incontro, facendo
subito emergere una dignità superiore altrimenti propria di un Jeeves o dello Stevens di Kazuo Ishiguro
(vedi). È la stessa Emerenc a
scegliere i propri datori di lavoro e a decidere il proprio stipendio, così
come non permette a nessuno di entrare in casa propria o di dirle come deve
comportarsi o come la deve pensare. Una donna dura, lavoratrice instancabile,
forgiata in tragedie e avversità, della
quale mai nessuno ha visto i capelli sempre raccolti in un fazzoletto scuro,
che si intromette anche pesantemente nella vita dei suoi datori di lavoro ed è
dotata di una moralità inscalfibile, del disprezzo nei confronti della politica
e del regime e di un animo umanitario totalmente altruistico.
Con queste premesse il
rapporto tra la scrittrice borghese e la “vecchia”
dotata di un’energia inesauribile si trasforma subito in un conflitto, dal quale però emerge la
volontà di entrambe di appianare gli attriti e se non di venirsi incontro, perlomeno
di tentare di comprendersi. Evidentemente ognuna vede nell’altra, al di là
delle incomprensioni, uno spessore d’animo meritevole di una considerazione,
fino a che il conflitto sfocerà in un profondo vicendevole affetto.
Magda
Szabó mette in tavola una
prosa piacevole, semplice e pulita, con lunghi periodi spezzati dall’uso
reiterato della virgola, piacevole da leggere e interessante per i misteri che sembra si celino dietro
questa donna e che emergono pian piano nel corso del romanzo. Come non essere
incuriositi da una personalità fortissima e adamantina? Come non essere
intrigati dalla sua abitazione nella quale non permette a nessuno di entrare?
Quali misteri vi saranno nascosti? E cercando di scoprire questi arcani ci si
cala all’interno delle vicende storiche dell’Ungheria e delle tragedie che
segnano qualsiasi tirannia.
La
porta è un romanzo
importante, una metafora dell’impossibilità, o per lo meno della difficoltà che
prova ognuno di noi al momento di dover varcare certe soglie e accettare il
pensiero altrui.
Il Lettore
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