martedì 11 agosto 2015

Una mutevole verità

Cominciamo con le note dolenti: come si fa a non pensare, vista la frequenza con cui pubblica Gianrico Carofiglio, questa volta da solo, vista l’esiguità di questo romanzetto di meno di 120 pagine, stampato su carta grossa con un’impaginazione da miope che non vuole usare gli occhiali per poco più di un’ora complessiva di lettura al prezzo di dodici euri, e questo ci può anche stare, ancora una volta ad una spudorata operazione commerciale?




Ultimamente sembra che si siano messi tutti a scrivere romanzi brevi. Mancanza di voglia di lavorare? Maggior facilità a terminare una trama? Miglior rapporto costi/benefici quando si va a stampare? Sicuramente, come direbbe Massimo Catalano, è più facile scrivere un romanzetto di 110 pagine che uno di 770, anche al di là dei contenuti, che per di più in questo caso, come confessa alla fine lo stesso autore, sono presi pari pari da una storia realmente accaduta e quindi Carofiglio non è che abbia dovuto fare la fatica di inventarsi un gran ché.
Oltretutto la trama di Una mutevole verità è proprio banale, già sentita, si capisce chi è l’assassino già dalle prime pagine e il personaggio del protagonista, il maresciallo dei carabinieri Pietro Fenoglio (puro, incorrotto, comprensivo, innamorato della moglie, intelligente, dalla morale adamantina e amante della musica classica), è un po’ troppo “perfettino” per essere credibile. Ma già, dimenticavo che forse non tutti leggono il colophon, nel quale è rimarcato che questo libro è stato realizzato in collaborazione con l’Ente Editoriale dell’Arma dei Carabinieri: il protagonista non sarebbe potuto essere uno stronzo di poliziotto cattivo. E così non ha dovuto faticare tanto nemmeno Einaudi.
Ok, basta, gli aspetti negativi finiscono qui, perché a parte queste considerazioni il romanzo è carino, lo stile di Carofiglio è leggibilissimo come al solito e arrivato in fondo hai la sensazione gradevole che viene dopo aver letto un libro leggero ma piacevole. A non voler essere proprio pignoli il protagonista ne esce bene così come i comprimari e perfino i “cattivi”, e chi conosce già l’autore barese è gratificato anche dal riconoscere un paio di autocitazioni e dal constatare come questi riesca anche a rendere positiva la figura del suo personaggio più famoso, un avvocato Guerrieri all’inizio della carriera, sia pure nominato solo in un piccolo cammeo.
Va be’, diciamo che stavolta Gianrico Carofiglio se l’è cavata per un pelo. Ora ci aspettiamo da lui un qualcosa di più consistente, magari tra minimo un paio d’anni, con il suo solito stile ma con una trama solida e senza i consueti trucchi che è solito adoperare per allungare di qualche pagina i suoi romanzi.
Inteso, giudice?
Il Lettore

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