martedì 18 agosto 2015

Storia di una lumaca che scoprì l’importanza della lentezza

Se fossi stato un bambino di cinque anni e mi avessero letto questo libro, forse, e dico forse, può anche darsi che avrei apprezzato la storia. Anche se poi la morale avrebbero dovuto spiegarmela un po’ meglio.
Ma i miei cinque anni sono passati da un pezzo, da allora ho fatto diverse esperienze e il piacere di leggere una storia scontata in uno stile banale non riesco più a provarlo.
E la morale in questo caso è una sola: peggio per me.




Ho letto con piacere parecchi libri di Luis Sepùlveda, da quelli più seri ai romanzi più leggeri ai saggi a quelli per ragazzi, compresa la gabbianella, e quando più quando meno sono rimasto in genere sempre abbastanza soddisfatto. Ma questa volta proprio no, questo Storia di una lumaca che scoprì l’importanza della lentezza Sepùlveda avrebbe dovuto proprio risparmiarselo.
Sciatto, banale, scontato, corto, trito, incoerente sono solo alcuni degli attributi che mi sono venuti in mente leggendolo, e se non fosse stato così breve, appena una sessantina di pagine molte delle quali bianche e altre riempite con i puerili (ma questa non è una critica) disegni di Simona Mulazzani, l’avrei lasciato ben prima di arrivare alla fine.
Il difetto più grande è che Sepùlveda ha copiato pari pari Il gabbiano Jonathan Livingstone, sostituendo la comunità di gabbiani con una di lumache e la ricerca della velocità con quella della lentezza, cercando di mantenere intatto lo sforzo del singolo per approdare a una nuova e più appagante dimensione del proprio essere. Ma se questo a Richard Bach è riuscito più che bene, allo scrittore cileno il tutto è venuto male in modo davvero sgradevole. Non si può inneggiare al concetto di lentezza, al fare le cose con calma per risolvere i mali della società odierna e poi, al primo ostacolo che il gruppo di lumache si trova ad affrontare, farglielo superare per mezzo di un gufo che in volo le trasporta in un battibaleno dove devono arrivare! È… imbarazzante, ecco, totalmente incoerente. Alla faccia della morale che intende trasmettere.
Per non parlare dei dialoghi, del solito vedere le cose umane dalla parte dei piccoli animali come abbiamo già visto in migliaia di cartoni animati, del solito condannare l’edilizia e la cementificazione e oh! che poveri, questi animaletti che finiscono schiacciati dalle auto! Basta, non se ne può più, e lo dice uno che quando vede una chiocciola sull’asfalto la prende e la rimette nell’erba.
Fatto sta che alla resa dei conti questo libercolo si rivela essere la solita operazione commerciale che di certo fa guadagnare molto di più alle case editrici che all’autore. Buono per un bambino, e neanche tanto. Se lo avessero messo in vendita con la scritta “pericolo di regressione: se ne sconsiglia la lettura ai maggiori di cinque anni”, non avrebbero fatto niente di male.
Il Lettore

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