sabato 4 ottobre 2014

Il faraone delle sabbie

Di Valerio Massimo Manfredi ho già letto Chimaira – mi ha lasciato molti dubbi – e L’ultima legione – questo sì, ricordo che non è male – e apprezzo il suo modo di scrivere nonostante a tratti faccia nascere delle perplessità. Cosa che succede anche in questo Il faraone delle sabbie, che penso proprio dovrò inserire tra gli esempi nei miei prossimi corsi di scrittura.

Come esempio dicevo, per far notare come un romanzo possa risultare buono e appassionante pur presentando una miriade di difetti.


L’ho iniziato e non sono riuscito a scollarmi dalla lettura fino a quando non l’ho terminato, pur riscontrandoci dentro una notevole quantità di pecche stilistiche e narrative la cui presenza però non è riuscita ad infrangere del tutto il patto di sospensione dell’incredulità (il ché avrebbe comportato inderogabilmente l’abbandono del testo).
La trama: ad un archeologo subissato di problemi viene proposto di scavare, non del tutto legalmente, un sito nel quale troverà reperti che potrebbero scardinare le concezioni di base delle più importanti religioni del mondo occidentale. Il tutto sullo sfondo di tensioni politiche internazionali giunte ad un punto critico, che rischiano di sfociare in una guerra totale.
I pregi: il romanzo si legge benissimo, il ritmo è veloce, i fatti trovano più spazio delle riflessioni e Valerio Massimo Manfredi è bravo nel suscitare dapprima l’interesse, ricorrendo all’espediente della ricerca di reperti archeologici di interesse fondamentale e universale, e quindi nel mantenere lo stato di tensione necessario fino alla risoluzione creando ai protagonisti problemi su problemi, difficoltà insormontabili che vengono risolte a fatica all’ultimo momento, mirabolanti avventure ulteriormente complicate da attacchi terroristici, tradimenti, omicidi e perfino guerre. E non manca nemmeno la storia d’amore. Davvero la curiosità di vedere cosa succederà dopo ti spinge ad andare avanti pagina dopo pagina a ritmo forsennato, e questo ad onta dei…
Difetti: in un’analisi a posteriori, le motivazioni su cui si muovono molti dei protagonisti sono di una labilità sconcertante, e di giustificazioni concrete nemmeno a parlarne; certe azioni sono del tutto esagerate e con una plausibilità prossima al sottozero; la tempistica della vicenda sta in piedi come un bradipo ubriaco; le spiegazioni tecniche di alcuni aspetti particolari accontenterebbero solo i bambini dell’asilo; le implicazioni politiche internazionali sono trattate in modo dilettantesco e le risoluzioni adottate dai singoli stati inverosimili; di alcune azioni citate nel corso del racconto non viene fornita un’adeguata spiegazione (come quando un’intera squadra di ricercatori americani viene assassinata brutalmente e nessuno, tantomeno gli USA, si chiede che fine abbia fatto), e una volta giunti alla fine ci si accorge come l’autore sia ricorso a dei trucchi stilistici di dubbio gusto per incrementare la tensione narrativa (nella realtà, il “portiere di notte” non avrebbe mai sostenuto le sue conversazioni come invece ha fatto – e mi dispiace di non potermi spiegare meglio, ma dovrei riportarvi troppe pagine, incluso il finale).
Fatto sta che nonostante tutto ciò il romanzo si legge in una volata, è interessante per le implicazioni archeologiche e religiose, resta ancora attuale anche se è stato pubblicato nel 1998, i difetti riscontrati non appaiono (perlomeno non lì per lì) di tale entità da costringerti a gettarlo nella spazzatura, e Valerio Massimo Manfredi si lascia ancora una volta apprezzare per le ricostruzioni storico-archeologiche dal fascino indiscutibile.
Il Lettore
Manfredi, Lettore 

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