Sono del tutto sicuro che se a molti giovani che
sfoggiano la t-shirt con stampigliata
la foto del “Che” si domandasse: “Sai per caso chi è e cosa ha fatto
quello che ti porti addosso?”, la maggior parte non saprebbero rispondere. E molti altri sosterrebbero che è una star del rock. Convinti.
Perché al giorno d’oggi non è
più importante il significato del simbolo, l’importante è che vada di moda. Sei di sinistra (quella vecchia)?
Ti sbatti il Che sul petto (poi chi
è stato qualcuno te lo spiegherà anche). Sei un nerd? C’è la maglia con quel faccione paciocco di Bill Gates. Sei me stesso? Allora ami sfoggiare anche tu la t-shirt con su scritto “Please
don’t interrupt me when i’m ignoring
you”.
Ma in alternativa metto anche
quella con un Brontolo dalle braccia
incrociate.
Nella maggior parte dei casi
è molto difficile distinguere il mito
dalla realtà, perché la realtà viene
sempre modificata da chi la vuole far apparire in un modo piuttosto che in un
altro. La storia la scrivono i vincitori,
così come i libri di scuola. Poi, quando la realtà finisce col diventare mito,
allora quegli aspetti che servono ad enfatizzare
il mito si ingigantiscono, e si nascondono
tutti gli altri.
Ho letto questa biografia di Ernesto “Che” Guevara con molto
interesse perché ne volevo sapere di più perlappunto di un mito, anche se
l’essere a conoscenza che l’autore, Paco
Ignacio Taibo II, è storicamente di sinistra (quella vecchia) e pure
parecchio impegnato in politica ti porta a storcere un po’ il naso sulla sua
presupposta imparzialità nel trattare il tema.
Invece devo ammettere che lo
scrittore ha fatto un buonissimo
lavoro ― non per niente questa è la biografia di Guevara più letta al mondo e
considerata ― e tirando le somme tra il detto e il non detto il rivoluzionario
ne esce parecchio ridimensionato nel
mito e la sua umanità (o meglio: la sua carenza
di umanità) non dico che venga sottolineata ma quanto meno non viene tenuta
nascosta.
Perché al di là degli aspetti
meritevoli che lo hanno portato a vincere una rivoluzione, senza considerare le numerose concomitanze che a
questo hanno contribuito, dal libro emerge chiaramente come quello che è
diventato un simbolo dell’antimperialismo e della rivoluzione latino-americana
non fosse altro che uno che amava menare le mani e uccidere gente, e dove non
ci arrivava ci tirava il cappello, girando per il mondo in cerca di guerre da
combattere che non erano le sue e alle quali partecipava in nome di ideali che
servivano più da scusa per sparare che altro, finendo con l’essere considerato
da molti un vero e proprio criminale colpevole
anche di uccisioni di massa.
Dopo aver fatto una
rivoluzione bisogna saper ricostruire
in nome di quegli ideali per i quali si è lottato. Fidel Castro è stato coerente con il suo ideale: ha sostenuto una
rivoluzione e l’ha vinta, e da quel momento si è messo a lavorare per
ricostruire un nuovo paese e una società come li intendeva lui, e l’ha fatto
per più di quarant’anni lavorandoci sodo. Nel momento in cui si è trovato al
vertice di un governo e di una nazione da riformare, Ernesto
Guevara de la Serna ha piantato
baracca e burattini ed è andato a sparare ancora in un altro continente. E poi
ancora, ha solo cambiato di nuovo continente, fino a che non ci è rimasto.
Ma il “Che” aveva dalla sua la bellezza,
una laurea in medicina (e in questo
caso l’andare in giro ad ammazzare gente fa un po’ a cazzotti con i princìpi di Esculapio),
un’asma cronica (quando ancora non
esistevano gli spray
broncodilatatori) che lo ha fatto sempre soffrire e per questo lo ha reso più
tenero agli occhi degli ammiratori, era un guerriero
coraggioso, condivisibili gli ideali
per i quali combatteva, e ha terminato la sua vita ancora giovane in forma di
una vile esecuzione politica di un
uomo già ferito gravemente. Gli ingredienti per farlo diventare un mito ci sono
tutti.
Ce n’è stato un altro che ha seguito un percorso simile,
che ha sostenuto diverse rivoluzioni e che ha finito col diventare un eroe (dei
vincitori) e quindi buon per lui morire di vecchiaia: un certo Giuseppe Garibaldi, ma anche nel suo
caso, a volersi mettere a sfrondare il mito, è probabile che si troverebbe solo
un’anima avvezza alle risse da marinaio abilmente instradata da esperti
politicanti a diventare un eroe.
Tornando al libro, Paco Ignacio Taibo II ha svolto un
compito eccellente ricostruendo una
biografia che si legge come un romanzo, esaustiva nei tratti essenziali e fitta
anche di fatterelli e curiosità poco conosciute dai più. Lo stile concreto consente
una leggibilità piacevole per tutto il volume, e questi pregi qui in Italia gli
hanno consentito di accaparrarsi il Premio
Bancarella 1998.
Se non lo avete ancora letto
vi consiglio di farlo, tanto per guardare le cose anche da prospettive che non
sono le solite, e allora anche a voi capiterà, la prossima volta che vedrete
una ragazzina di quattordici anni con la foto più famosa di Alberto Korda sul petto, di provare il
desiderio di domandarle: “Ma tu lo sai veramente chi era questo qui?”.
Il Lettore
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