Pur avendo una storia reale
di “soli” duecento anni, più o meno dal 1100 al 1300, quello dei poveri compagni d’armi di Cristo e del
tempio di Salomone, altrimenti detti Templari,
è diventato un mito che resiste nel tempo, affascina ancora e a tutt’oggi
continua a dare la stura a romanzi e films
imperniati su di loro. Soprattutto dopo il 2003, anno in cui un certo Dan Brown ha pubblicato un romanzetto
dal titolo Il codice Da Vinci che ha
venduto poche decine di copie (giusto qualche milione), di romanzi che di riffa
o di raffa hanno a che fare con i Templari sono stati riempiti scaffali interi.
Questo di Nuria Masot, guarda caso, è del 2004.
L’ombra
del templare, primo volume
di una tetralogia (!) con lo stesso protagonista, è ambientato nella Barcellona
del 1265 e vede Guillem de Montclar,
giovane monaco e cavaliere del tempio appena uscito dall’addestramento per
diventare una spia dell’ordine, andare alla ricerca di preziose pergamene
contenenti inenarrabili segreti che
sono state sottratte al suo mentore e ne hanno provocato la morte.
Una storia di spie, segreti, assassinii e sotterfugi,
che con poche varianti potrebbe essere traslata negli anni ’40 del secolo
scorso ponendo Germania e Inghilterra al posto di Papato e Regno di Francia, o
negli anni ’70 mettendo come protagonisti la CIA e il KGB. Uguale.
Il Papa e Re Luigi IX hanno
già iniziato le tresche che
porteranno alla distruzione dell’Ordine dei Templari per accaparrarsi e
spartirsi le loro immense ricchezze racimolate non si sa bene come, e a
Barcellona si scontrano le spie delle rispettive fazioni e i propri aiutanti in
un susseguirsi di inseguimenti, pedinamenti, assassinii, tradimenti, suicidi,
amori fugaci e riscatti finali da tipico feulleiton
di cappa e spada ottocentesco. La plausibilità del tutto è piuttosto aleatoria,
con agenti segreti descritti come
eccezionalmente bravi che non si accorgono di essere pedinati da schiere di
nemici che a loro volta non si accorgono l’uno dell’altro, o con rifugi nascosti raggiungibili per vie
macchinose che neanche la fantasia di Spielberg, per non parlare del contenuto incredibile (nel vero senso della
parola: non ci si può proprio credere) delle pergamene di cui i protagonisti
sono alla ricerca.
L’onniscienza del narratore viene fatta pesare rendendo lo stile un
po’ troppo sorpassato e “professorale”, parecchio descrittivo e in definitiva
non molto piacevole, soprattutto quando l’autrice insiste a spiegarci i pensieri dei vari personaggi,
probabilmente perché convinta che noi stupidi lettori non ci saremmo arrivati
da soli se ci avesse dato solo i fatti. La ricostruzione storica è decente,
senza approfondire troppo e quindi senza sfondoni plateali, e alla fine il
libro si lascia leggere soprattutto perché uno è incuriosito da cosa cacchio ci sarà mai scritto su queste
pergamene, senza però soddisfare un gran ché una volta che ne sei venuto a
conoscenza, né far venire alcuna voglia di leggerne gli addirittura tre séguiti.
Il Lettore
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