Ho sempre detestato la
dimensione onirica. Da pragmatico
realista preferisco lasciare i sogni al luogo a loro più confacente, la notte,
e lasciare che si dissolvano il mattino successivo. Detesto ancora di più
quegli scrittori che invece i sogni li raccontano,
ci scrivono sopra poesie e magari se li inventano pure perché pensano che in
quel punto della narrazione un bel sogno ci può stare bene, e non parliamo poi
di quelli che con un sogno premonitore risolvono qualche situazione ingarbugliata
e quelli che addirittura i romanzi ce li iniziano, con un sogno.
Come in questo caso.
Che rabbia, perché avevo
apprezzato molto John Williams e il
suo Stoner, ma facendo partire
questo Nulla, solo la notte con un
sogno Williams mi ha predisposto subito in modo negativo alla lettura del seguito.
Nulla,
solo la notte è l’opera
prima di Williams. Pubblicato nel 1948, è quindi stato scritto quando l’autore
non aveva ancora 26 anni, quasi vent’anni prima di Stoner. E questo si sente parecchio.
Non tanto nello stile già
formalmente perfetto, redatto con frasi ben costruite e inappuntabili, quanto
nei contenuti che quelle frasi esplicitano. Al contrario di ciò che aveva fatto
splendidamente in Stoner, in questo
caso Williams dice, e non mostra, insistendo nel voler raccontare
al lettore in terza persona tutti i pensieri e le ragioni del comportamento del
protagonista, oltre che i sogni perfino quando si lava i denti, e così facendo
non permette a chi legge di calarsi nel romanzo e di esserne conquistato.
Rendendolo in pratica di una noia mostruosa che, sia pur riluttante,
mi ha fatto abbandonare il volume dopo poche decine di pagine. Quando le cose
che l’autore racconta non riescono a interessarti, cosa continui a fare?
Il problema è che Williams aveva
già fin da giovane alcune potenzialità del grande scrittore, tra cui la
perfezione convenzionale dello strato più superficiale, ma la cosa che all’epoca
gli mancava era la consapevolezza del dover
scrivere in modo che ciò che scrivi soddisfi
qualcun altro. In pratica, non aveva esperienza,
era giovane.
Da giovane magari ritieni
anche che i tuoi sogni siano importanti o possano interessare qualcuno, pensi
che gli ideali in cui credi siano universali e indissolubili e cerchi di
convincere chiunque della loro validità, e tendi sempre a dare troppa
importanza ai tuoi pensieri. Rendendo in genere illeggibili le cose che scrivi. Williams ha imparato solo dopo a operare una severa autocritica e
a capire come bisogna scrivere, e lo ha dimostrato con Stoner.
Peccato, è stata una delusione, perché le aspettative per
questo libro erano alte, ma non è tutta colpa di Williams: lui stesso questo
romanzo lo aveva disconosciuto, quasi rinnegato insieme ad altre sue opere giovanili,
dimostrando così che da parte sua era salito su un gradino più alto dal quale era
ben conscio dei suoi difetti di gioventù.
La colpa è di quei bastardi di editori che questo romanzo ce
lo hanno riproposto per guadagnare qualche soldo in più sulla scia del successo
di Stoner.
Il Lettore deluso
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