venerdì 12 agosto 2016

Autobiografia erotica di Aristide Gambìa

Attualmente ho in lettura due romanzi impegnativi e abbastanza lunghi da non poterli terminare in pochi giorni, e di conseguenza sono costretto a procrastinare la pubblicazione dei relativi post fino al momento in cui li avrò terminati e avrò trovato il tempo per scriverne. Per non farvi aspettare troppo ho ripescato questo volume ― tra l’altro devo decidermi a renderlo alla legittima proprietaria ―che avevo letto qualche tempo fa.
O meglio, avevo tentato, di leggere…




Alcune critiche mosse a Domenico Starnone lo accusano di aver irrimediabilmente rovinato questo romanzo nella terza e quarta parte. Figuriamoci! Terza e quarta parte? Alla terza e quarta parte io non ci sono nemmeno arrivato vicino! Mi immagino solo come quelle sezioni dovrebbero essere, per rendere giustificate le critiche, ma non voglio nemmeno pensarci.
L’intenzione di Starnone era quella di ricostruire la vita di un anziano intellettuale napoletano trapiantato a Roma solamente attraverso le proprie esperienze sessuali dall’adolescenza alla vecchiaia e le numerose donne che hanno incrociato la sua esistenza. A voler attingere alla retorica, di un tema del genere se ne potrebbe parlare all’infinito, da ogni punto di vista, e in effetti in molti ne hanno trattato andando a ripescare paroloni e pensieri stereotipati per giustificare un romanzo che altro non è, secondo me che provo un senso di nausea al solo sentir esplicitare concetti retorici, che una palla megagalattica. Ne sono indicibilmente tediose pure le critiche, soprattutto quelle positive (pubblicitarie?), pensate un po’!
Sono bastate poche decine di pagine per far crescere il mio disinteresse fino a livelli insopportabili che hanno causato la prematura chiusura del volume non trovandolo, all’epoca, nemmeno abbastanza coinvolgente da scriverci subito un post sopra.
E sì che la prosa è buona, moderatamente ricercata ma senza strafare; e sì che c’è anche molto sesso, di quello che non ti eccita ma ricco di psicologia (dagli con la retorica…); e sì che ci sono molte parolacce che dovrebbero renderlo stuzzicante, ma il fatto è che il tutto è confezionato in un modo che lo rende noiosissimo e non ti invoglia minimamente nella prosecuzione da una pagina all’altra.
Avrei già dovuto capirlo dalla smorfia con la quale l’amica che me lo ha prestato ha accompagnato il porgermelo, alla mia domanda su come l’avesse trovato, e le smorfie di una docente universitaria qualche significato concreto ce lo avranno pure. Come a dire: ne ho sentito anche parlare bene, ma…
Ma… Autobiografia erotica di Aristide Gambìa è una sega immane. La parolaccia la mia amica non l’ha detta, ma l’ha pensata (sia pure forse in termini eticamente corretti, da “universitaria”). Io invece l’ho usata anche per essere coerente con il linguaggio dell’autore che di parolacce ne usa molte, a partire dall’incipit: “Aristide Gambia pensava a volte, in particolare nei periodi di malinconia, che se avesse obbedito meno al buon senso e più alle furibonde esigenze del cazzo avrebbe scopato tutti i giorni a ogni ora dentro qualsiasi buco consenziente, soprattutto nella fica tra le cosce delle femmine, brodosa o secca, stretta o larga, sporca o profumata.

Pensiero comune alla stragrande maggioranza degli uomini, tanto per restare sul retorico. E questo incipit forte è messo lì apposta per stuzzicarti, per scandalizzarti, per invogliarti a proseguire che tu sia concorde o meno con quel pensiero.
Peccato che poi…
Come cantavano Mina e Alberto Lupo: Parole… Parole… Parole…
Il Lettore 

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