Anche il romanzo che vi
propongo oggi consta di ben 840 pagine,
ma non è il tomone che al momento sto leggendo del quale sono arrivato solo a
pagina 700, e la cosa che mi da fastidio è che in me sta insorgendo una, come
definirla, stanchezza nel portarlo
avanti, come a dire: mi sta proprio stufando e non vedo l’ora che arrivi la
fine perché l’autrice (oops…) l’ha veramente fatta troppo lunga. Ma pazientate,
ancora pochi giorni…
E allora ripeschiamo di
nuovo, questa volta dalla tradizione
orientale, un altro romanzone tra quelli che a suo tempo mi erano piaciuti.
Piaciuti? Ma che dico, di più. Nonostante lo stile arcaico, l’enfasi e la
lentezza tipici di una storia vera ma anche leggendaria, scritta più di
settant’anni fa in un Giappone che si trovava ancora lontano in maniera
incommensurabile dalla civiltà occidentale.
Musashi è per il Giappone quello che I Promessi Sposi sono per la nostra
letteratura o Via col vento per
quella americana, un romanzo storico che ha dato lo spunto per una ventina di
successive riscritture e almeno sette
film tra i quali si possono annoverare le migliori pellicole del genere
imperniate sui samurai.
La storia è ambientata nel
1600 ed è la biografia romanzata del giovane Takezo, un ragazzo sopravvissuto alla battaglia di Sekigahara, e
delle vicissitudini che col tempo lo trasformeranno da umile ronin, cioè un guerriero al servizio dei
potenti, nel più famoso samurai di tutti i tempi, quel Miyamoto Musashi sopravvissuto a tutti gli scontri sostenuti che da
anziano si ritirerà in solitudine a scrivere il famosissimo Il libro dei cinque anelli, nel quale
riverserà il suo sapere di guerriero e che al giorno d’oggi è possibile trovare
sulla scrivania di manager rampanti
insieme a L’arte della guerra di Sun
Tzu. Che poi quelli usciti dalla Bocconi li leggano e imparino qualcosa, ho i
miei dubbi.
Contrariamente però a
quanto si potrebbe pensare, il libro di Eiji
Yoshikawa non è un romanzo di cappa e spada nel quale le katane la fanno da padrone, ma un vero e
proprio spaccato della società giapponese del diciassettesimo secolo nel quale
trovare usi, culture e tradizioni di una terra infinitamente lontana da noi nel
tempo e nello spazio, tanto da poter fare un parallelo con lo Shogun di James Clavell: Musashi
parte da dove Shogun termina, la
battaglia di Sekigahara, e racconta di personaggi situati molto più in basso
nella gerarchia sociale del Giappone feudale dell’epoca rispetto ai nobili del
romanzo di Clavell.
Eiji
Yoshikawa era figlio lui
stesso di un samurai, e descrive quindi dall’interno il codice d’onore e le
usanze di questa classe di guerrieri la cui fama e il fascino si sono spinti in
ogni angolo della terra. Nel caso di un vero samurai… “…c’è anche qualcosa che chiamerei l’apprezzamento dell’amarezza delle cose. Un guerriero che
manchi di tale sensibilità, è come un arbusto nel deserto. Essere un forte
combattente e nulla più è come essere un tifone. Lo stesso dicasi di quegli
spadaccini che non pensano ad altro che alla spada. Un vero samurai, un
autentico uomo di spada, ha invece il cuore compassionevole. Egli comprende l’amarezza
della vita”. Parola di Miyamoto
Musashi.
Come dicevo poco fa,
nonostante il romanzo abbia i suoi anni (è stato scritto tra il 1930 e il 1935)
e stile e ritmo ne risentano, ci si stupisce di quanto comunque si legga bene e
offra continuamente spunti di interesse che riescono a far proseguire la
lettura per centinaia di pagine senza stufare.
A differenza di certe
autrici odierne…
Il Lettore
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