mercoledì 12 novembre 2014

Musashi

Anche il romanzo che vi propongo oggi consta di ben 840 pagine, ma non è il tomone che al momento sto leggendo del quale sono arrivato solo a pagina 700, e la cosa che mi da fastidio è che in me sta insorgendo una, come definirla, stanchezza nel portarlo avanti, come a dire: mi sta proprio stufando e non vedo l’ora che arrivi la fine perché l’autrice (oops…) l’ha veramente fatta troppo lunga. Ma pazientate, ancora pochi giorni…


E allora ripeschiamo di nuovo, questa volta dalla tradizione orientale, un altro romanzone tra quelli che a suo tempo mi erano piaciuti. Piaciuti? Ma che dico, di più. Nonostante lo stile arcaico, l’enfasi e la lentezza tipici di una storia vera ma anche leggendaria, scritta più di settant’anni fa in un Giappone che si trovava ancora lontano in maniera incommensurabile dalla civiltà occidentale.
Musashi è per il Giappone quello che I Promessi Sposi sono per la nostra letteratura o Via col vento per quella americana, un romanzo storico che ha dato lo spunto per una ventina di successive riscritture e almeno sette film tra i quali si possono annoverare le migliori pellicole del genere imperniate sui samurai.
La storia è ambientata nel 1600 ed è la biografia romanzata del giovane Takezo, un ragazzo sopravvissuto alla battaglia di Sekigahara, e delle vicissitudini che col tempo lo trasformeranno da umile ronin, cioè un guerriero al servizio dei potenti, nel più famoso samurai di tutti i tempi, quel Miyamoto Musashi sopravvissuto a tutti gli scontri sostenuti che da anziano si ritirerà in solitudine a scrivere il famosissimo Il libro dei cinque anelli, nel quale riverserà il suo sapere di guerriero e che al giorno d’oggi è possibile trovare sulla scrivania di manager rampanti insieme a L’arte della guerra di Sun Tzu. Che poi quelli usciti dalla Bocconi li leggano e imparino qualcosa, ho i miei dubbi.
Contrariamente però a quanto si potrebbe pensare, il libro di Eiji Yoshikawa non è un romanzo di cappa e spada nel quale le katane la fanno da padrone, ma un vero e proprio spaccato della società giapponese del diciassettesimo secolo nel quale trovare usi, culture e tradizioni di una terra infinitamente lontana da noi nel tempo e nello spazio, tanto da poter fare un parallelo con lo Shogun di James Clavell: Musashi parte da dove Shogun termina, la battaglia di Sekigahara, e racconta di personaggi situati molto più in basso nella gerarchia sociale del Giappone feudale dell’epoca rispetto ai nobili del romanzo di Clavell.
Eiji Yoshikawa era figlio lui stesso di un samurai, e descrive quindi dall’interno il codice d’onore e le usanze di questa classe di guerrieri la cui fama e il fascino si sono spinti in ogni angolo della terra. Nel caso di un vero samurai… “…c’è anche qualcosa che chiamerei l’apprezzamento dell’amarezza delle cose. Un guerriero che manchi di tale sensibilità, è come un arbusto nel deserto. Essere un forte combattente e nulla più è come essere un tifone. Lo stesso dicasi di quegli spadaccini che non pensano ad altro che alla spada. Un vero samurai, un autentico uomo di spada, ha invece il cuore compassionevole. Egli comprende l’amarezza della vita”. Parola di Miyamoto Musashi.
Come dicevo poco fa, nonostante il romanzo abbia i suoi anni (è stato scritto tra il 1930 e il 1935) e stile e ritmo ne risentano, ci si stupisce di quanto comunque si legga bene e offra continuamente spunti di interesse che riescono a far proseguire la lettura per centinaia di pagine senza stufare.
A differenza di certe autrici odierne…
Il Lettore 

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