A volte capita di dover modificare le proprie convinzioni.
Nel dicembre 2013 stroncavo Michael Connelly, (qui),
ripromettendomi di non leggere mai più nulla di suo, poi invece ne ho letto
un altro che era leggermente migliore del primo che mi era passato per le mani
(qui), e ora mi hanno prestato questo Il lato oscuro dell’addio
che ho trovato decisamente buono.
L’importante è essere aperti
ai cambiamenti, ne potrebbe sempre derivare qualcosa di positivo.
Il protagonista è sempre quel
simpaticone di Harry Bosch,
finalmente in pensione ma ri-assunto a tempo determinato in uno dei sobborghi
di L.A., perché di uno come lui non se ne può fare a meno nonostante i casini in
cui si invischia. Il part time gli
consente di fare un po’ di libera professione, e come detective privato viene interpellato da un anziano e ricchissimo industriale
che lo incarica di provare a rintracciare un ipotetico figlio, che forse ha
avuto da un’antica amante, al quale poter lasciare la sua cospicua eredità.
La ricerca si aggiunge a
quella di un violentatore seriale
che terrorizza la zona in cui opera il distretto per cui lavora, e quindi Bosch
si trova impelagato in due casi che non gli daranno pace fino a quando non li
avrà risolti e che scomoderanno perfino il suo passato di combattente in
Vietnam.
Le cose si complicano quando
il riccastro muore, e Bosch si ritroverà coinvolto anche nell’indagine per il
suo omicidio. E alla fine sarà lui a risolvere anche questa, come dire: i protagonisti altrimenti cosa ci stanno
a fare?
Buon romanzo, ben
architettato, dallo svolgimento agile e sicuramente non inverosimile come il
primo che avevo recensito di questo autore. Anche in questo si trovano
frequenti riferimenti al passato del protagonista e alla storia recente degli
Stati Uniti, e il tutto è ben costruito. Come al solito sono tirati in ballo
anche i cazzi casi personali di Bosch (figlia, parenti vari), ma in
maniera non invadente.
Che dire di più? È anche
possibile che io rilegga ancora qualcosa di Michael Connelly.
Il Lettore
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