Solo dopo averlo finito di
leggere mi sono ricordato la ragione per la quale non compro i thriller di Michael Connelly: è un autore che pur scrivendo benino non mi
piace. L’avevo classificato in questo modo molti anni fa e avevo smesso di
leggerlo, poi mi hanno prestato questo Il
cerchio del lupo (il solito Sergio, sempre per usare uno pseudonimo) e, sia
pure rendendomi conto che Connelly non era di mio gradimento ma non
ricordandone il perché, l’ho letto, e solo arrivato alla fine mi sono di nuovo
reso conto di cosa me lo rende inviso.
Devo dire che in effetti si
fa leggere, tant’è vero che sono arrivato in fondo, anche se è il solito thriller con il solito serial killer psicopatico, il solito
investigatore (Harry Bosch,
protagonista di molti dei romanzi di Connelly, e infatti ne avevo già letto
qualcuno con lui protagonista) più sagace degli altri, i soliti personaggi di
contorno e la solita ragazza che viene salvata all’ultimo momento. Però la
lettura è scorrevole e non presenta quegli intoppi plateali che te lo farebbero
piantare lì subito e ti consente di continuare fino a quando ormai è troppo
tardi.
Solo quando l’hai chiuso ti
rendi conto che il romanzo manca totalmente di credibilità. E scusa se è poco.
Ripensandoci con spirito
critico ti accorgi infatti che nessuno
dei personaggi aveva la minima ragione plausibile di comportarsi come si è
comportato: nella vita reale avrebbero tutti
operato scelte diverse da quelle imposte loro dall’autore. Be’, forse non tutti
tutti: l’unica coerente e abbastanza
credibile è l’ultima vittima dello psicopatico, che viene rapita, seviziata e
salvata in extremis senza che
pronunci nemmeno una parola.
E anche questa può essere
considerata bravura: se ti accorgi solo alla fine che la trama non sta né in
cielo né in terra, allora ciò vuol dire che l’autore è stato bravo non
permettendoti di scoprire subito il suo bluff.
Ma col cavolo che rileggerò un altro romanzo di Connelly, neanche se me lo
prestano.
Il Lettore
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