In un quotidiano ho letto che
in Liguria si sta allestendo una mostra delle fotografie che Bruce Chatwin ha scattato con la sua Leica nel corso dei viaggi che ha fatto
per il mondo, e mi è tornato in mente questo libro che avevo letto diversi anni
fa.
Forse il più famoso dei libri
dell’inglese (e l’unico dei suoi che ho letto), un testo che rapidamente è
diventato un cult book sull’onda della controcultura e della scoperta che dopo
la guerra il viaggiare era diventato abbastanza facile.
Sarà anche diventato un libro di culto, ma da qui a dire che è
un bel libro ce ne corre.
L’ho letto, ma non posso dire
di rammentarne un gran ché. Ricordo solo che l’ho trovato noiosissimo, questo sì, l’unica sensazione che mi ha suscitato. No,
ricordo anche che inizia con uno sfondone
paleontologico, ma basta. Le vicissitudini di questo artista mancato e
irrequieto, affetto da nomadismo galoppante e che alla fine si è messo a fare
il viaggiatore a tempo pieno, morto di AIDS a 49 anni, in me non hanno lasciato
alcuna traccia né suscitato emozioni.
Sarà che ho poca sensibilità.
Cavolo, dovrà pur esserci una
ragione per la quale è diventato un cult book, no?
Non l’avrò saputa trovare io
la ragione, non avrò saputo guardare con gli occhi curiosi del viaggiatore,
pronti a bere e saziarsi di ogni nuova scoperta, non avrò acceso in me lo
spirito del poeta che si lascia conquistare dal fascino del viaggio, la mia
grettezza mi avrà reso impermeabile all’ebbrezza delle notti trascorse in sacco
a pelo sotto immensi cieli di stelle, mi mancherà la curiosità di conoscere luoghi
lontani e nuovi popoli. Tutto è possibile.
Può essere anche che questo
libro sia veramente una sega.
Il Lettore casalingo
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