I
segreti di Gray Mountain
fa parte di una serie nuova, quella
dal titolo: anche John Grisham può
fare qualche bella caduta ogni
tanto.
In effetti è il primo libro brutto di Grisham che mi sia capitato,
quindi non posso dire che la serie sia tanto lunga, ma tanto per avvertirvi, se
putacaso foste in procinto di leggerlo, cambiate pure obiettivo, non perdereste
nulla.
Già comincia in modo
deprimente descrivendo la crisi globale del 2008 che in seguito al fallimento
della Lehman Brothers ha portato
alla bancarotta di una miriade di società con conseguente licenziamento di una
valanga di persone. Oggi che ancora soffriamo di quella crisi, con in più tutte
le nefandezze dei politici nostrani, non è per niente piacevole sentirselo
ricordare.
Samantha
Kofer è una giovane avvocatessa
di New York tra quelle mandate a casa che, per non perdere del tutto qualche
contributo previdenziale, o qualcosa di simile, si trova costretta ad accettare
un lavoro a titolo gratuito in un’organizzazione di avvocati che operano pro-bono nel profondo Sud della Virginia. Si trasferisce così dalla Grande Mela in un paesino sperduto degli Appalachi, dove si troverà ad
aver a che fare non più con ricchi ed eleganti squali-avvocati che viaggiano in
limousine, ma con rudi montanari che
girano armati in pickup e con un
mucchio di povera gente angariata dalle potentissime società che controllano l’estrazione
del carbone.
Conoscevo già, ancora prima
di leggere questo romanzo, la tecnica di estrazione del carbone che oggi va per
la maggiore nota come strip mining, e questa è la seconda
nota deprimente.
Per chi non ne avesse mai sentito parlare, oggi,
invece che scendere in profondità nelle viscere della terra tramite cunicoli
scomodi e pericolosi, per estrarre il carbone si preferisce spianare completamente intere montagne fino a scoperchiare del
tutto i giacimenti carboniferi per quindi coltivarli a cielo aperto (nel senso
di estrarre il minerale), devastando del tutto il territorio e uccidendo irrimediabilmente qualsiasi
ecosistema esistente. Cose da pazzi. Ma negli Stati Uniti si può fare, perché
per assurdo non c’è nessuna legge che lo vieta.
Quindi la Kofer si trova a
dover combattere le ditte assassine, si trova a dover difendere donne
maltrattate dai propri mariti e anziane mamme succubi dei propri figli, si
trova a prendere le parti di minatori ammalati della sindrome letale del polmone nero, in una serie
inimmaginabile di disgrazie che rendono il tutto ancora più deprimente.
E in tutto questo non poteva
ovviamente mancare la scontata storia
d’amore, qualche scontata vittoria
ogni tanto in tribunale e il finale scontatissimo
nel quale, nonostante tutte le avversità, la protagonista decide di rimanere
nel paesino per fare del bene agli altri invece di tornarsene di corsa a New
York.
Come già detto, romanzo
deprimente, scontato, noioso, che se non avesse portato in copertina il nome di
John Grisham sarebbe stato
interrotto dopo trenta pagine dall’inizio. Ma visto che c’è quel nome tu speri
che prima o poi migliori, eccheccazzo, Grisham è sempre Grisham, no?
Mi dispiace, stavolta no.
Il Lettore
Nessun commento:
Posta un commento