lunedì 24 luglio 2017

I segreti di Gray Mountain

I segreti di Gray Mountain fa parte di una serie nuova, quella dal titolo: anche John Grisham può fare qualche bella caduta ogni tanto.
In effetti è il primo libro brutto di Grisham che mi sia capitato, quindi non posso dire che la serie sia tanto lunga, ma tanto per avvertirvi, se putacaso foste in procinto di leggerlo, cambiate pure obiettivo, non perdereste nulla.




Già comincia in modo deprimente descrivendo la crisi globale del 2008 che in seguito al fallimento della Lehman Brothers ha portato alla bancarotta di una miriade di società con conseguente licenziamento di una valanga di persone. Oggi che ancora soffriamo di quella crisi, con in più tutte le nefandezze dei politici nostrani, non è per niente piacevole sentirselo ricordare.
Samantha Kofer è una giovane avvocatessa di New York tra quelle mandate a casa che, per non perdere del tutto qualche contributo previdenziale, o qualcosa di simile, si trova costretta ad accettare un lavoro a titolo gratuito in un’organizzazione di avvocati che operano pro-bono nel profondo Sud della Virginia. Si trasferisce così dalla Grande Mela in un paesino sperduto degli Appalachi, dove si troverà ad aver a che fare non più con ricchi ed eleganti squali-avvocati che viaggiano in limousine, ma con rudi montanari che girano armati in pickup e con un mucchio di povera gente angariata dalle potentissime società che controllano l’estrazione del carbone.
Conoscevo già, ancora prima di leggere questo romanzo, la tecnica di estrazione del carbone che oggi va per la maggiore nota come strip mining, e questa è la seconda nota deprimente.
Per chi non ne avesse mai sentito parlare, oggi, invece che scendere in profondità nelle viscere della terra tramite cunicoli scomodi e pericolosi, per estrarre il carbone si preferisce spianare completamente intere montagne fino a scoperchiare del tutto i giacimenti carboniferi per quindi coltivarli a cielo aperto (nel senso di estrarre il minerale), devastando del tutto il territorio e uccidendo irrimediabilmente qualsiasi ecosistema esistente. Cose da pazzi. Ma negli Stati Uniti si può fare, perché per assurdo non c’è nessuna legge che lo vieta.
Quindi la Kofer si trova a dover combattere le ditte assassine, si trova a dover difendere donne maltrattate dai propri mariti e anziane mamme succubi dei propri figli, si trova a prendere le parti di minatori ammalati della sindrome letale del polmone nero, in una serie inimmaginabile di disgrazie che rendono il tutto ancora più deprimente.
E in tutto questo non poteva ovviamente mancare la scontata storia d’amore, qualche scontata vittoria ogni tanto in tribunale e il finale scontatissimo nel quale, nonostante tutte le avversità, la protagonista decide di rimanere nel paesino per fare del bene agli altri invece di tornarsene di corsa a New York.
Come già detto, romanzo deprimente, scontato, noioso, che se non avesse portato in copertina il nome di John Grisham sarebbe stato interrotto dopo trenta pagine dall’inizio. Ma visto che c’è quel nome tu speri che prima o poi migliori, eccheccazzo, Grisham è sempre Grisham, no?
Mi dispiace, stavolta no.
Il Lettore 

Nessun commento:

Posta un commento