venerdì 22 luglio 2016

Il Predatore

Quando qualcuno mi chiede dei libri in prestito non è che ne sia molto contento. Come tutti gli amanti dei libri sono geloso di quelli che ho, e ogni volta che vedo un vuoto negli scaffali sono preso dall’ansia fino a che non ritornerà a essere riempito dal suo occupante. Di libri dati in lettura nel tempo me ne sono spariti diversi e, dal momento che non posso non prestarli, ci mancherebbe altro, ho preso l’abitudine di segnare titolo e destinatario della momentanea cessione in un piccolo taccuino per ricordarmi che fine abbia fatto. Nero, guarda caso.
L’unica persona per la quale non segno i libri che le presto è una mia cara amica che la pensa come me sul fatto dei prestiti e se mai fosse possibile è anche più rigorosa di me sulle restituzioni. Tra lei e me c’è un fitto traffico di passaggi a suon di 4-5 volumi per volta e non c’è mai bisogno di segnarli, perché siamo entrambi sicuri che ritorneranno al legittimo proprietario.
Nell’ultimo scambio mi ha dato un paio di romanzi di Elizabeth George ― di cui sentirete parlare prossimamente su questi schermi ― e questo Il Predatore sul quale mi ha preventivamente avvertito: “Non è all’altezza degli altri, ma in fondo non è malaccio”.
Come amica sarà anche affidabile, ma come lettrice ha una bocca molto più buona della mia.




Non sarà neanche malaccio, ma proprio in fondo in fondo e a patto di riuscire ad arrivarci, cosa che a me non è accaduta. Per poter andare avanti nella lettura di questo primo romanzo di Ingrid Black bisognerebbe tenere a portata di mano infinite dosi di caffeina da iniettarsi ripetutamente per via endovenosa, direttamente senza passare per una tazzina altrimenti non otterrebbero lo scopo desiderato.
Una trama mozzafiato nel susseguirsi dei colpi di scena”, strombazzano in copertina. Ma dove? Una noia deprimente fin dall’inizio e per diverse decine di pagine, utilizzate per descrivere pensieri e conoscenze di questa improbabile detective (un ex agente dell’FBI, cribbio!) che in una plumbea Dublino (ma tu guarda! originale!) tenta di dare la caccia a un serial killer (e come avremmo potuto farne senza?) che uccide una marea di prostitute (si parlava di originalità?) lasciando citazioni bibliche sul luogo del delitto (e dagli con tutte queste cose nuove di pacca!).
La repulsione nei confronti di una protagonista assolutamente stereotipata e per niente credibile ― sempre per restare sull’originale è un ex alcolista e fuma il sigaro ― è superata solo dal modo banale di narrare, questo forse anche per colpa della traduzione, che non ti sprona minimamente nella prosecuzione.
Dopo aver arrancato faticosamente per una settantina di pagine, ieri sera ho deciso che non ne valeva proprio la pena di continuare e l’ho rimesso sullo scaffale dei libri da rendere. Quindi ho addentato uno dei due romanzi della George, e già dopo solo due pagine la differenza abissale nello stile della scrittura è stato come un sorso di limonata fresca in una giornata afosa.
Il Lettore 

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