Da questo libro è stata
tratta la famosissima frase di Virginia
Woolf: “Una donna deve avere denaro,
cibo adeguato e una stanza tutta per sé se vuole scrivere romanzi”, di cui ho
parlato anche in quest’altra recensione.
Ora non me ne vorranno le femministe, anzi, sicuramente me ne vorranno, ma non
fatemelo pesare troppo, se mi sento di dire che in effetti quella frase è l’unica degna di essere ricordata di
questo libro noiosissimo.
Una stanza tutta per sé è il compendio di due conferenze tenute da Virginia
Woolf alla Arts Society di
Newnham e alla ODTAA di Girton
nell’ottobre del 1928. Mi àuguro per
gli astanti dell’epoca che l’autrice sia stata un’oratrice superlativa, perché
se ci si trovasse a giudicare il valore delle conferenze da questo resoconto,
probabilmente coloro che vi hanno assistito saranno
ancora lì ad aspettare di essere risvegliati.
La Woolf era stata chiamata a
parlare di Le donne e il romanzo, e dopo aver dapprima ammesso candidamente di
non sapere proprio cosa dire, come una macchina che si scioglie dopo il
rodaggio comincia a parlare della donna nel romanzo e delle donne autrici di
romanzi, per poi allargarsi a tratteggiare il ruolo della donna nella storia e
nella società dell’epoca.
Sentir parlare di scritti che
non hai letto di autori antichi che non conosci, come Milton ― del quale ho
letto solo il Paradiso Perduto e
neanche per intero, Thackeray o Pope, di certo non risveglia l’attenzione, e il
saggio si trasforma ben presto in un pallosissimo
susseguirsi di pagine fitte senza neanche un “a capo” a spezzarne la monotonia.
La situazione migliora
(leggermente) quando la Woolf comincia a parlare della donna e del suo ruolo nella società. Si sente che l’argomento le
sta molto più a cuore e i toni si
fanno più accesi, e da convinta femminista
bisessuale si lancia in una filippica contro quella che è sempre stata la discriminazione della donna in una
società patriarcale nella quale si è sempre cercato di relegare la figura
femminile a una condizione inferiore. Per non parlare del soffocarne qualsiasi
aspetto di creatività: “Perché non ci
vuole un grande acume psicologico per essere sicuri che una ragazza di grande
talento, che avesse cercato di usarlo per far poesia, sarebbe stata così
ostacolata e impedita dagli altri, così torturata e dilaniata dai propri
istinti contraddittori, da finire sicuramente per perdere la salute e la
ragione”.
L’indipendenza ― e da qui il succo della sua frase ― è necessaria per sviluppare la creatività
in qualsiasi ambito, e dal momento che la donna nei secoli è sempre stata tutto
meno che indipendente, da ciò non poteva derivare altro che una quasi completa
assenza di artisti di sesso femminile.
Dal punto di vista
concettuale mi trovo a concordare pienamente
con lei e ad esecrare, da maschio, una società maschilista che insieme a
duemila anni di chiesa cattolica hanno fatto di tutto per schiacciare la figura femminile. Probabilmente, se la storia fosse
andata un po’ diversamente, se avesse prevalso una società matriarcale e non ci
si fosse affidati a rigide religioni monoteiste nell’aleatoria speranza di
andare a finire meglio una volta dipartiti da questa terra, le cose sarebbero
state sensibilmente migliori. Sempre tenendo conto che l’uomo bestia è e bestia rimane.
Questo compendio si può
quindi considerare un classico del
pensiero femminista, esternato in modo onesto
da una donna che si trovava nell’invidiabile condizione ― indipendenza
economica e marito innamorato e liberale ― di potersi comportare come
desiderava, e come tale va apprezzato. Sicuramente nei quasi novant’anni da che
sono state tenute quelle conferenze la condizione della donna è migliorata, e
di questo la Woolf ne sarebbe stata soddisfatta, anche se la strada da fare è
ancora lunga.
Sono d’accordo quindi con ciò che ha detto, ma lasciatemelo dire,
il come resta sempre pallosissimo.
Il Lettore
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