Della serie “una botta al
cerchio e una alla botte”, dopo averne parlato male con Donne, a
distanza di pochi giorni raddoppio la recensione di Andrea Camilleri con questo L’altro
capo del filo, stavolta parlandone tutto sommato bene. Eccheccavolo. Mica posso sempre sparare a zero…
La fascetta che avvolge la
copertina informa il lettore che questo è il centesimo libro di Camilleri. Cento
libri pubblicati è un traguardo veramente importante, anche se non tutti sono
stati meritevoli, ma non dovrebbe spingere a comprarlo a scatola chiusa come
invece gli editori sperano che succeda. Io l’ho acquistato solo quando ho letto
nella bandella di copertina che il protagonista è Salvo Montalbano: se il commissario non ci fosse stato lo avrei
lasciato sullo scaffale della libreria. Ma poi lo avrebbe preso il mio editor.
E nonostante la presenza di
un personaggio che mi è simpatico il romanzo ha cominciato immediatamente a
farmi girare non poco i cabasisi
perché mi è sembrato che Camilleri abbia voluto cavalcare l’onda della retorica più smaccata, mettendo in
campo fin da subito la tragedia delle migrazioni e dei continui sbarchi di
profughi sulle coste siciliane, parlandone a fondo, facendo interagire i personaggi con i migranti
e con il mondo dell’Islam in generale, con toni platealmente buonisti e comprensivi facendo leva sui
drammi personali e sulla pietà umana.
Calcando un po’ troppo la
mano, secondo me. Il mio innato cinismo ne è rimasto tanticchia infastidito.
Ma sicuramente molte anime
più sensibili di me rimarranno colpite dai brani di Camilleri e perfino sconvolte, perché la cosa che devo
ammettere è che nonostante la retorica l’ha fatto con uno stile perfetto e con
la bravura che gli ha permesso di raccontare una vicenda non consentendo mai
alla tensione narrativa di calare. Considerate che ho comprato il libro, dopo
una cena parecchio pesante sono andato a letto alle dieci, ho cominciato a
leggere e ho smesso solo dopo mezzanotte e mezza e più di duecento pagine. Sì,
lo so, una velocità di lettura sotto la mia solita media, dovuta al siciliano strettissimo nel quale il
libro è scritto, che se anche lo leggo bene mi rallenta un pochino. Quello che
volevo dire è che un romanzo meno interessante lo avrei lasciato molto prima
abbandonandomi a Morfeo.
Solo dopo parecchie pagine e aver sviscerato la
faccenda migrazioni, inizia la vicenda gialla
vera e propria con annessa ammazzatina,
che poi prosegue per conto proprio fino a giungere alla risoluzione dovuta ovviamente
alla perspicacia del commissario.
In tutta sincerità di buchi nella struttura del romanzo ne ho
trovati diversi, a partire da personaggi, umani e animali, di punto in bianco
abbandonati a loro stessi mentre in una economia del romanzo ben fatta la loro
presenza avrebbe dovuto continuare fino alla fine; il ricorso a tecniche di
indagine non propriamente ortodosse; la rivelazione stessa dell’assassino, alla
quale non posso nemmeno accennare per non rovinarvi il gusto della scoperta (ma
che non lascia del tutto soddisfatti: vedi il punto 10 delle “Venti regole per scrivere romanzi polizieschi” del giallista
S.S. Van Dyne, regola in questo caso
completamente infranta ― se ancora non sapete chi è l’assassino aspettate ad
andare a guardare di cosa si tratta…); e altre cosettine qua e là che ad uno
che ci fa caso come me fanno diminuire il valore della valutazione, non ultimo
l’annientamento forzato del grande amore che stava sbocciando tra Catarella e Rinaldo.
Ma d’altra parte il romanzo
si legge benissimo e con curiosità
fino in fondo, vi si ritrovano tutti i personaggi seriali con la loro solita e confortante caratterizzazione che ha contribuito a farli amare dal lettore (e
anche Livia sembra essere meno rompiballe del solito), vi si ritrovano l’amore
per il cibo, le sciarratine con Pasquano eccetera, e se devo essere sincero, nonostante
gli aspetti negativi di cui ho trattato, devo ammettere che nel complesso l’ho trovato più soddisfacente degli altri ultimi episodi con protagonista
Montalbano.
Camilleri aggiunge in postfazione che il romanzo non è tutta
farina del proprio sacco, perché la sua assistente Valentina Alferj è intervenuta nella stesura sia in fase creativa
che pratica in seguito alla sopraggiunta cecità
dello scrittore siciliano. Me ne dispiace, ovviamente non per la presenza di
lei quanto per la grave malattia di lui, ma sono convinto che questo non gli
impedirà del tutto di continuare a scrivere seppur aiutato da altri.
Il Lettore
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