martedì 19 maggio 2015

La quarta mano

Per quanti libri si possa leggere, e io ne leggo veramente tanti, ci sarà sempre qualche autore che sfugge e che una volta conosciuto avresti desiderato incontrarlo prima.
Nel mio caso uno di questi è John Irving: uno scrittore che mi aveva sempre incuriosito ma non mi era mai capitato di affrontarlo. Conoscevo per sentito dire Le regole della casa del sidro (e ne avevo visto anche il film), sapevo che Il mondo secondo Garp è considerato alla stregua di un cult book e mi avevano detto che Preghiera per un amico è uno dei romanzi più commoventi mai scritti, ma fino ad ora non avevo toccato con mano.
Ora l’ho fatto, e devo dire che lo stile di Irving mi ha stupito non poco. A proposito: John Irving è uno pseudonimo, in realtà il suo vero nome è John Wallace Blunt Jr.




Uno stile ingannevolmente calmo, pacato, da narratore che entra spesso nella vicenda in modo intenzionale “Noi naturalmente sappiamo già che…”, sfoggiando una prosa eccezionale nonostante la prolissità con cui si diverte a inanellare frequentissime divagazioni dal tema principale per approfondire i personaggi a dir poco strampalati che via via entrano in gioco.
La storia è quasi surreale: un noto giornalista televisivo statunitense perde la mano sinistra nel corso di un servizio filmato dall’interno di uno zoo indiano, l’inviato avvicina un po’ troppo il braccio alla gabbia dei leoni e uno di essi lo artiglia, lo trascina attraverso le sbarre e si pappa la mano e il polso. Non è dato di sapere se il leone il microfono l’abbia sputato.
L’umorista più efficace è quello che fa scivolare le sue battute all’interno del discorso con serietà e compassatezza. In una vicenda tragica come quella sopra descritta, John Irving riesce a inserire con nonchalance una serie di immagini e di battute tale da trasformare l’inconsueta colazione del leone in una risata continua. E le risate continuano quando il malcapitato, la cui disavventura è stata vista in diretta in tutto il mondo, diventa per questo famosissimo e si trasforma in un vero e proprio anchorman, sia pure mancante di un avambraccio, ossessionato dalla sua menomazione fino al punto di sottoporsi a uno dei primissimi trapianti di mano effettuati al mondo.
Fino a metà libro Irving descrive gli amori e le peripezie di Patrick Wallingford con un crescendo di situazioni paradossali davvero spassose, culminanti con la lunghissima descrizione della vita e degli amori del chirurgo che lo opera, il dottor Nicholas Zajac, utilizzando battute ellittiche e fulminee per lo più incentrate sulla vita sessuale dei protagonisti e sulle abitudini alimentari del cane del chirurgo a base di diete scatologiche, ma…
…dopo la prima metà del libro l’autore improvvisamente cambia registro: il tono da frivolo si trasforma in serio, il protagonista da farfallone diventa riflessivo, le battute umoristiche si fanno più rarefatte fino a scomparire del tutto e l’andamento assume la costanza di un’interessante storia d’amore condita da considerazioni esistenziali e denunce sociali, a partire dall’attacco plateale contro il modo corrente di fare televisione in America, quel privilegiare le trasmissioni spazzatura che purtroppo sembra abbia ormai preso piede anche qui da noi.
Un’inversione davvero strana, che mi era capitato poche volte di incontrare: ci rimani spaesato, ti aspetti in continuazione di incappare ancora in una battuta di quelle che fino a poco prima ti avevano fatto ridere e invece niente, non ci sono più, sembra quasi che tu stia leggendo un altro romanzo, e se da una parte quel continuo ricorso all’umorismo a cui eri abituato ti manca, dall’altra ormai sei curioso di sapere come si evolveranno le avventure dei protagonisti e prosegui con interesse fino alla fine.
Quindi, una volta arrivato in fondo, devo affermare che il romanzo mi è piaciuto e mi ha fatto venire voglia di leggere anche le opere precedenti dello scrittore, e questo nonostante abbia notato alcune altre incongruenze, a partire da un paio di personaggi che sono delle vere e proprie talpe, cioè che compaiono e spariscono senza lasciare traccia e che non sembrano avere nessuno scopo ai fini del disegno complessivo.
Un romanzo comunque strano, molto particolare, originale e graffiante, carico di messaggi ma anche di nonsense e che suscita sorpresa e ilarità. Sì sì sì, questo autore va proprio approfondito.
Dimenticavo… per soddisfare la curiosità di coloro che hanno letto lo Squizzalibro dell’altro ieri senza che debbano cercare in rete, vi dico subito che l'autore famoso dal quale Irving ha preso lezioni di scrittura creativa è Kurt Vonnegut.
Il Lettore 

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