Questo è un post che avrebbe potuto scrivere il mio
amico blogger de I gatti di Monte Malbe, visto che è perennemente tenuto d’occhio
dall’ottantina di amici pulciosi che
tutti i giorni aspettano con ansia che lui porti loro da mangiare.
Ma anche se quello dei gatti
sarebbe il campo suo, la recensione
di questo romanzo è meglio che l’abbia fatta io.
La ragione è semplice: scrivo
molto meglio di lui. Hi! Hi! Hi!
Amando i gatti, quando ho trovato questo libro nella libreria di mia suocera
non ho potuto fare a meno di prenderlo e leggerlo. Che poi (delusione!) non è
che i gatti siano i protagonisti di questo romanzo uscito nel 1956, tanto è
vero che l’editore Garzanti ne ha ripubblicato nel 1966 una nuova traduzione
con il titolo Sotto la rete
(riprendendone il titolo originale in lingua inglese Under the net). Ora, tra
i due titoli italiani non riesco a decidere quale sia il meno appropriato per
questo romanzo: nel suo svolgimento i gatti sono nominati solo molto
marginalmente, e non sono riuscito proprio a capire che nesso ci sia tra il
contenuto del romanzo e la metafora della rete. Bah, i soliti misteri editoriali.
Iris
Murdoch, oltre ad essere
stata innamorata (a senso unico) per lungo tempo di Raymond Queneau, è stata
impegnata per quarant’anni nella scrittura di molti romanzi e saggi a carattere
filosofico, e questo Under the net è
stato inserito all’interno della Top 100
dei migliori romanzi in lingua inglese del ventesimo secolo.
Forse bisognerebbe leggerlo
in lingua originale per capire le motivazioni
di questo riconoscimento, perché sì, il romanzo è anche abbastanza piacevole da
leggere, ma non mi sembra che possieda tutti questi aspetti positivi necessari
a un inserimento del genere. Con questo non voglio dire che la traduzione
faccia schifo, anzi, sicuramente è stato fatto un buon lavoro e anche in
italiano la prosa scorre fluida, ma forse in inglese c’è quel quid in più che in un’altra lingua viene
perduto.
La vicenda è quella un po’
paradossale di uno squattrinato traduttore che in pratica vive di parassitismo, con amori non
esplicitati e amicizie quanto meno bizzarre. Non esiste una trama vera e
propria, quanto piuttosto l’illustrazione di un breve periodo della vita del
protagonista, che dopo aver passato diverse avventure per trovare perlomeno un
posto dove andare a dormire, decide di restare un felice squattrinato piuttosto
che tradire i propri aleatori principi. Il tono richiama alla lontana i romanzi
di Wodehouse senza calcare la mano, ma a volte la Murdoch insiste un po’ troppo
sulle indecisioni del protagonista fino a far assumere al ritmo un andamento
piuttosto soporifero.
Be’, speravo ci fossero più
gatti di mezzo, e nonostante la buona prosa non è che il romanzo mi abbia
proprio entusiasmato. Per sentir parlare di gatti mi toccherà di continuare a
collegarmi a I gatti di Monte Malbe…
Il Lettore
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