giovedì 21 maggio 2015

Il ricercato

Il miglior autore contemporaneo di narrativa crime” figura a grosse lettere sulla fascetta gialla che avvolge la copia del libro che ho in mano.
Affermazione non da poco, lapidaria, apicale, senza compromessi di sorta, che pone lo scrittore proprio sulla vetta, solo e irraggiungibile. D’accordo, non è altro che pubblicità, e per questo da considerare con beneficio d’inventario, ma la firma che segue questa frase non è di uno qualunque, non è di un giornalistucolo sponsorizzato da qualche casa editrice, non è di un personaggio famoso solo per qualche passaggio televisivo, né di un calciatore o di una qualsiasi attricetta bonazza. A proferire queste parole è stato Haruki Murakami, e se uno dei più papabili candidati al Nobel si sbilancia in questo modo state pur certi che avrà le sue ragioni.




E come dargli torto? Questo nuovo romanzo di Lee Child (ve l’ho già detto che il suo vero nome è Jim Grant?) con protagonista, come sempre, un Jack Reacher narrato stavolta in terza persona, conferma ancora una volta le aspettative di tutti coloro che attendono con trepidazione ogni nuova uscita dell’autore britannico trapiantato a New York.
Ho letto le quasi quattrocento pagine de Il ricercato in un giorno e mezzo, tralasciando impegni casalinghi e sedute di scrittura e rimandando obblighi vari al giorno dopo, perché Reacher è Reacher, non ci sono santi. Un libro che parte calmo, nel quale sembra che all’inizio non succeda nulla di eclatante per qualche decina di pagine, quindi è come se il pilota di un F22 accendesse il postbruciatore e ti ritrovi scaraventato nella vicenda senza alcuna possibilità di abbandonarla volontariamente fino alla fine.
Insomma, nulla di nuovo. Child ci ha abituato così.
Non starò a discuterne ulteriormente perché le ragioni di questa affezione le ho già spiegate in altri post (basta che clicchiate l’etichetta “Child” qui a fianco), vi dirò solo che questa avventura si pone temporalmente, nella cronologia delle vicende di Jack Reacher, dopo quella intitolata Una ragione per morire, quando Reacher sta cercando di allontanarsi dal Nebraska diretto verso la Virginia dove intende conoscere di persona una donna con cui aveva avuto solo delle interessanti conversazioni telefoniche.
Reacher è reduce da uno dei suoi consueti “confronti” (dai quali di solito gli altri non si rialzano più); è sporco, trasandato, gli hanno spaccato il naso con il calcio di un fucile e per questo gonfio e insanguinato, e sta facendo l’autostop di notte su un’autostrada semideserta. C’è da capire in pieno tutti gli occupanti delle cinquantasei auto che gli transitano davanti senza fermarsi a caricarlo, ma la cinquantasettesima si ferma e lo prende su.
Solo che gli occupanti della vettura non sono affatto dei gitanti qualsiasi…
Il Lettore 

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