martedì 17 febbraio 2015

Flush

Ho terminato di leggere Flush proprio pochi istanti fa; ho sfilato la penna dal taschino e mi accingo a scrivere a caldo questa recensione. Sono solo, seduto al tavolo degli organizzatori nelle grandi e gelide sale che ospitano la mostra retrospettiva delle opere di un artista e amico che ci ha lasciati troppo presto. Oggi è il mio turno di tenerla aperta e al momento non c’è nessun ospite da guidare nella visita; posso leggere e scrivere in tutta tranquillità. L’inchiostro verde della Montblanc scorre fluido in barba al freddo. Ho scelto questa occasione per terminare la lettura dell’opera di Virginia Woolf  perché mi è sembrato il libro giusto da portarmi dietro per trascorrere i momenti vuoti tra un gruppo di visitatori e l’altro. E perché mi piace leggere le biografie, comprese quelle di cani.
Peccato la razza: i cocker spaniel non mi sono mai stati simpatici.




La biografia di un cane redatta da una grande scrittrice è sempre qualcosa di più della semplice biografia di un cane.
Virginia Woolf ne approfitta infatti per tracciare anche la biografia dell’essere umano al quale Flush era appartenuto, la poetessa inglese Elizabeth Barrett Browning, e per far trasparire un intero mondo passato ormai da quasi cent’anni rispetto al tempo in cui l’autrice ha scritto.
Attraverso le sensazioni di Flush la Woolf racconta degli anni trascorsi a letto dalla Barrett – per una non ben identificata malattia – e nei quali ha scritto le prime opere che l’hanno resa famosa; dell’innamoramento epistolare per un poeta dapprima sconosciuto e poi dell’incontro con lo stesso Robert Browning, del matrimonio segreto fino alla fuga in Italia e del ruolo che il nostro paese ha svolto nella trasformazione di una donna: dalla malinconia all’apertura, dal ditale di Porto “appena sorseggiato” al trangugiare un bicchiere di Chianti, dalla tristezza di Londra al sole di Firenze, dai cani londinesi tutti esclusivamente di razza purissima e altezzosi ai cani pisani tutti esclusivamente bastardi, ma molto più felici. Il sole italiano fa emergere una nuova personalità nella poetessa, da malaticcia e cinerea a donna dinamica e (moderatamente) allegra, e permette a Flush una libertà di vagabondare che lo renderà finalmente spensierato fino al momento di riposare per sempre nell’argillosa terra fiorentina sotto le cantine di Casa Guidi.
Il tutto nel tentativo di far sorgere immagini nel lettore attraverso gli occhi del cane. In effetti ciò riesce alla Woolf abbastanza bene, peccando di ingenuità solo nei momenti in cui ipotizza che il cane provi dei sentimenti troppo umani per un cane, antropomorfizzandolo un poco oltre il plausibile, e il rapporto tra il cane e la poetessa è reso bene sottolineando la costanza della  psicologia canina, sia pure intaccata da alcuni episodi significativi, rispetto alla volubilità dei sentimenti umani.
Il fatto è che essi non potevano comunicare per mezzo della parola, ed era questo un fatto che indubbiamente dava luogo ad alquanti malintesi”. Vero, ancor di più oggi e non solo nel caso di un rapporto tra uomo e animale, ma anche quando alla parola parlata si sostituisce la parola scritta, come nelle discussioni in chat o nei forum.
La leggibilità del testo è condizionata dagli ottant’anni che sono passati da quando Virginia Woolf lo ha scritto: il ritmo è lento e lo stile antico, ricco di termini arcaici e verbi obsoleti come “redolere” (olezzare, emettere odori di nuovo), “ammansare” (rendere mansueto), “scandolezzare” (forma arcaica di scandalizzare), e con molti congiuntivi messi al tempo presente quando invece sarebbero stati meglio al passato. Non sapendo a che epoca risalga la traduzione di Alessandra Scalero della versione in mio possesso non posso valutare quanto questo dipenda dal testo originale e quanto dalla traduttrice, ma posso dire che poco prima della metà del libro il tutto si velocizza, quando a Flush capita di essere rapito da malviventi (e la Woolf ne approfitta per dipingere la Londra più povera, squallida e delinquenziale) e subito dopo i due piccioncini decidono di fuggire in Italia insieme al cane recuperato.
Devo dire che procedendo nella lettura, forse abituandomi allo stile della Woolf e man mano che succedono avvenimenti interessanti, il libro migliora di parecchio, e arrivato in fondo posso affermare che mi è piaciuto molto, iniettandomi la voglia di leggere qualcuna delle opere “maggiori” di Virginia Woolf, quali ad esempio Gita al faro o La signora Dalloway.
Un grazie affettuoso a lei sa di chi parlo per il graditissimo dono.
Acc… domani mi toccherà di ribattere il tutto sulla tastiera…
Il Lettore cinofilo

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