Il mio primo approccio
all’opera più famosa di Paul Auster
è stato qualche anno fa, quando mi capitò sotto mano Città di vetro – il racconto lungo con cui inizia questa trilogia –
in versione graphic novel, nell’interpretazione
di Paul Karasik e David Mazzucchelli. Ricordo che non mi
entusiasmò molto: nonostante la caratura dei due fumettisti, e malgrado
l’ammirevole sceneggiatura di un’opera cerebrale come questa, la trasformazione
in un romanzo disegnato non mi colpì, probabilmente a causa dello stile del
disegno che non rientra tra i miei preferiti.
Ora che ho letto la versione originale posso affermare che
sì, Karasik e Mazzucchelli avranno anche svolto un lavoro pregevole, ma l’opera
autentica è molto meglio.
Da quando l’amico Kuiry mi ha consigliato la lettura di
Auster, e dopo aver letto Timbuctù
(vedi) dello stesso autore, mi era rimasta la voglia di leggermi questi tre
romanzi che formano un tutto unico: Città
di vetro, Fantasmi e La stanza chiusa. Tre racconti lunghi,
ognuno dei quali si potrebbe anche leggere separatamente dagli altri essendo
dotato di un’autonomia propria, ma è solo leggendoli insieme che si comprende
come il valore della globalità sia anche in questo caso maggiore della somma
delle singole parti. Comunque non starò qui a farne una critica approfondita –
non ritengo di averne le capacità né le cognizioni sufficienti per citare dotti
riferimenti – e già miriadi di critici,
giornalisti e scribacchini sono andati a sviscerare tutti i risvolti più
nascosti di quest’opera, tirando in ballo una caterva di personaggi, da Platone
a Poe, da Gadda a Cervantes, per spiegare via via i molteplici elementi che
Auster vi ha inserito, dal tema del doppio all’incomunicabilità, dall’uso del
linguaggio alle connessioni casuali nella vita di ognuno, al fatalismo che
domina tutti i personaggi. Per non parlare del suo trattare la letteratura, i
libri, lo scrivere, gli scrittori, da Cervantes a Thoreau, o dello sconfinare
nella meta-letteratura quando entra in ballo il romanzo stesso che il lettore
sta leggendo.
Quando, nei racconti
successivi al primo, compaiono personaggi dei romanzi precedenti, il lettore è
pervaso da una sensazione di conosciuto, quasi un deja-vu, mentre al termine del volume resta la sensazione di un
romanzo cerebrale, quasi surreale, inquietante, fumoso, senza soluzioni chiare,
le cui dimensioni difficilmente classificabili confermano l’insondabilità della
mente umana. Non è roba per chi cerca un intrattenimento leggero, insomma, ma
devo dire che a me è piaciuto molto, anche per merito della prosa sopraffina di
Auster. Penso che sia un romanzo in cui ognuno potrà trovare un qualcosa di
diverso, uno di quei romanzi che fanno pensare a lungo dopo che li si è chiusi.
Per tornare alla graphic
novel di Karasik & Mazzucchelli, ora che ho letto l’intera trilogia devo
aggiungere che è come se Marcello
Toninelli o Go Nagai si fossero
limitati a trasportare a fumetti solo l’Inferno
della Divina Commedia di Dante
Alighieri lasciando perdere Purgatorio e Paradiso (in effetti ciò è stato fatto, ma dalla Disney, con l’Inferno di Topolino ad opera di Guido Martina e Angelo Bioletto, ma in questo caso si tratta di una parodia – e, a
onor del vero, c’è da dire che di sicuro questa tra le cantiche è la più
interessante, mentre il racconto di Auster che mi è piaciuto di più è stato La stanza chiusa). Anche
se Città di vetro potrebbe sembrare
un’opera a sé stante, è solo leggendo tutti e tre i romanzi che si riescono a
capire molti risvolti degli intendimenti dell’autore: i personaggi e le
tematiche di Città di vetro
ritornano nei racconti successivi e si completano, e, così com’è stata ridotta,
monca dei seguiti, a questo punto non vedo più il senso di questa trasposizione
fumettistica.
Il Lettore
Lettore, Auster
Nessun commento:
Posta un commento