giovedì 29 gennaio 2015

Trilogia di New York

Il mio primo approccio all’opera più famosa di Paul Auster è stato qualche anno fa, quando mi capitò sotto mano Città di vetro – il racconto lungo con cui inizia questa trilogia – in versione graphic novel, nell’interpretazione di Paul Karasik e David Mazzucchelli. Ricordo che non mi entusiasmò molto: nonostante la caratura dei due fumettisti, e malgrado l’ammirevole sceneggiatura di un’opera cerebrale come questa, la trasformazione in un romanzo disegnato non mi colpì, probabilmente a causa dello stile del disegno che non rientra tra i miei preferiti.
Ora che ho letto la versione originale posso affermare che sì, Karasik e Mazzucchelli avranno anche svolto un lavoro pregevole, ma l’opera autentica è molto meglio.




Da quando l’amico Kuiry mi ha consigliato la lettura di Auster, e dopo aver letto Timbuctù (vedi) dello stesso autore, mi era rimasta la voglia di leggermi questi tre romanzi che formano un tutto unico: Città di vetro, Fantasmi e La stanza chiusa. Tre racconti lunghi, ognuno dei quali si potrebbe anche leggere separatamente dagli altri essendo dotato di un’autonomia propria, ma è solo leggendoli insieme che si comprende come il valore della globalità sia anche in questo caso maggiore della somma delle singole parti. Comunque non starò qui a farne una critica approfondita – non ritengo di averne le capacità né le cognizioni sufficienti per citare dotti riferimenti –  e già miriadi di critici, giornalisti e scribacchini sono andati a sviscerare tutti i risvolti più nascosti di quest’opera, tirando in ballo una caterva di personaggi, da Platone a Poe, da Gadda a Cervantes, per spiegare via via i molteplici elementi che Auster vi ha inserito, dal tema del doppio all’incomunicabilità, dall’uso del linguaggio alle connessioni casuali nella vita di ognuno, al fatalismo che domina tutti i personaggi. Per non parlare del suo trattare la letteratura, i libri, lo scrivere, gli scrittori, da Cervantes a Thoreau, o dello sconfinare nella meta-letteratura quando entra in ballo il romanzo stesso che il lettore sta leggendo.
Quando, nei racconti successivi al primo, compaiono personaggi dei romanzi precedenti, il lettore è pervaso da una sensazione di conosciuto, quasi un deja-vu, mentre al termine del volume resta la sensazione di un romanzo cerebrale, quasi surreale, inquietante, fumoso, senza soluzioni chiare, le cui dimensioni difficilmente classificabili confermano l’insondabilità della mente umana. Non è roba per chi cerca un intrattenimento leggero, insomma, ma devo dire che a me è piaciuto molto, anche per merito della prosa sopraffina di Auster. Penso che sia un romanzo in cui ognuno potrà trovare un qualcosa di diverso, uno di quei romanzi che fanno pensare a lungo dopo che li si è chiusi.
Per tornare alla graphic novel di Karasik & Mazzucchelli, ora che ho letto l’intera trilogia devo aggiungere che è come se Marcello Toninelli o Go Nagai si fossero limitati a trasportare a fumetti solo l’Inferno della Divina Commedia di  Dante Alighieri lasciando perdere Purgatorio e Paradiso (in effetti ciò è stato fatto, ma dalla Disney, con l’Inferno di Topolino ad opera di Guido Martina e Angelo Bioletto, ma in questo caso si tratta di una parodia – e, a onor del vero, c’è da dire che di sicuro questa tra le cantiche è la più interessante, mentre il racconto di Auster che mi è piaciuto di più è stato La stanza chiusa). Anche se Città di vetro potrebbe sembrare un’opera a sé stante, è solo leggendo tutti e tre i romanzi che si riescono a capire molti risvolti degli intendimenti dell’autore: i personaggi e le tematiche di Città di vetro ritornano nei racconti successivi e si completano, e, così com’è stata ridotta, monca dei seguiti, a questo punto non vedo più il senso di questa trasposizione fumettistica.
Il Lettore
Lettore, Auster

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