Insieme ai romanzi e ai
libri di ricette, Manuel Vazquez
Montalbàn ha scritto un considerevole numero di saggi su svariati argomenti:
dal calcio (Dio ce ne scampi!) a Cuba, dal Comandante Marcos ai saggi sulla
letteratura, dalla politica sovietica a questo gioiellino, del quale basta
leggere la profonda verità spiattellata subito in prima pagina per comprenderne
il valore:
“L'inutilita
del viaggio in quanto fuga si scopre quando si evidenzia che viaggiamo insieme
a noi stessi, ossia, con l'essere da cui intendevamo fuggire”.
Il
breve saggio di poco più di sessanta pagine, edito nel 1991 e ristampato in
Italia nel 1998, è un approfondimento del succitato concetto, prendendo come
spunto la figura di Paul Gauguin e
la sua fuga nei Mari del Sud per scappare soprattutto da se stesso: non gli è riuscito
molto bene...
Paul
Gauguin è sempre stato un animo tormentato e ha passato una vita piena zeppa di
difficoltà, da quelle finanziarie ai problemi di salute, con difficili
relazioni sociali e la continua insoddisfazione derivante dall’indifferenza che
l’umanità dell’epoca dimostrava nei confronti delle sue opere.
Insieme
al raccontare il senso di un’avventura umana, Manuel Vazquez Montalbàn illustra bene tutti i problemi dai quali
il pittore era afflitto, operando un’analisi critica dei suoi quadri sui quali
fornisce le spiegazioni necessarie a capire le ragioni dei frequenti
cambiamenti di stile, derivati di volta in volta dalle influenze che altri artisti operavano sul pittore, dal suo stato di
salute e persino dalla situazione politica della Francia e dall’acredine con
cui il pittore considerava in toto il
sistema colonialista: la progressiva distruzione di civiltà
ingenue e paradisi incontaminati ad opera del colonialismo capitalista occidentale
aveva già provocato, come si usa dire qui, più danni della grandine, e sia gli
intellettuali emancipati che gli artisti in genere cominciavano ad accorgersene
e a schierarvisi contro.
Dal
libretto emerge drammatica la figura
di un Gauguin martoriato dai suoi stessi pensieri (oltre che dalla sifilide),
dalla povertà e dal non essere compreso e apprezzato, fino al completo
abbandono di tutti i sogni e alla rassegnazione che ne precedettero di poco la
morte.
Lo
stile di Montalbàn è sempre preciso e accurato e sebbene a volte,
quando si lascia trascinare dall’euforia nel parlare di politica, ecceda nello
sfoggio della padronanza di linguaggi tecnici concedendosi il libero sfogo
dell’uso di termini il cui significato non è così immediatamente comprensibile,
quali “disperazione nichilista”, “speranza utilitarista”, “società filistea”
eccetera (che ti costringono a fermarti, perlomeno io, e a pensare a cosa caz
vogliano dire), sebbene a volte ecceda, dicevo, ho letto con interesse le sue
pagine perché mi hanno permesso di scoprire un Gauguin che non conoscevo e mi
hanno fatto capire le ragioni delle variazioni del suo stile.
L’unica
cosa che non ho retto è la poesia finale in onore del pittore, ripescata dagli
scritti giovanili dell’autore spagnolo: mi accorgo di apprezzare la poesia
sempre di meno (in modo direttamente proporzionale all’incremento del numero
dei “poeti” in circolazione…), ma prima o poi parlerò anche di questo.
Il Lettore
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