martedì 6 gennaio 2015

Paul Gauguin: la lunga fuga

Insieme ai romanzi e ai libri di ricette, Manuel Vazquez Montalbàn ha scritto un considerevole numero di saggi su svariati argomenti: dal calcio (Dio ce ne scampi!) a Cuba, dal Comandante Marcos ai saggi sulla letteratura, dalla politica sovietica a questo gioiellino, del quale basta leggere la profonda verità spiattellata subito in prima pagina per comprenderne il valore:
“L'inutilita del viaggio in quanto fuga si scopre quando si evidenzia che viaggiamo insieme a noi stessi, ossia, con l'essere da cui intendevamo fuggire”.




Il breve saggio di poco più di sessanta pagine, edito nel 1991 e ristampato in Italia nel 1998, è un approfondimento del succitato concetto, prendendo come spunto la figura di Paul Gauguin e la sua fuga nei Mari del Sud per scappare soprattutto da se stesso: non gli è riuscito molto bene...
Paul Gauguin è sempre stato un animo tormentato e ha passato una vita piena zeppa di difficoltà, da quelle finanziarie ai problemi di salute, con difficili relazioni sociali e la continua insoddisfazione derivante dall’indifferenza che l’umanità dell’epoca dimostrava nei confronti delle sue opere.
Insieme al raccontare il senso di un’avventura umana, Manuel Vazquez Montalbàn illustra bene tutti i problemi dai quali il pittore era afflitto, operando un’analisi critica dei suoi quadri sui quali fornisce le spiegazioni necessarie a capire le ragioni dei frequenti cambiamenti di stile, derivati di volta in volta dalle influenze che altri artisti operavano sul pittore, dal suo stato di salute e persino dalla situazione politica della Francia e dall’acredine con cui il pittore considerava in toto il sistema colonialista: la progressiva distruzione di civiltà ingenue e paradisi incontaminati ad opera del colonialismo capitalista occidentale aveva già provocato, come si usa dire qui, più danni della grandine, e sia gli intellettuali emancipati che gli artisti in genere cominciavano ad accorgersene e a schierarvisi contro.
Dal libretto emerge drammatica la figura di un Gauguin martoriato dai suoi stessi pensieri (oltre che dalla sifilide), dalla povertà e dal non essere compreso e apprezzato, fino al completo abbandono di tutti i sogni e alla rassegnazione che ne precedettero di poco la morte.
Lo stile di Montalbàn è sempre preciso e accurato e sebbene a volte, quando si lascia trascinare dall’euforia nel parlare di politica, ecceda nello sfoggio della padronanza di linguaggi tecnici concedendosi il libero sfogo dell’uso di termini il cui significato non è così immediatamente comprensibile, quali “disperazione nichilista”, “speranza utilitarista”, “società filistea” eccetera (che ti costringono a fermarti, perlomeno io, e a pensare a cosa caz vogliano dire), sebbene a volte ecceda, dicevo, ho letto con interesse le sue pagine perché mi hanno permesso di scoprire un Gauguin che non conoscevo e mi hanno fatto capire le ragioni delle variazioni del suo stile.
L’unica cosa che non ho retto è la poesia finale in onore del pittore, ripescata dagli scritti giovanili dell’autore spagnolo: mi accorgo di apprezzare la poesia sempre di meno (in modo direttamente proporzionale all’incremento del numero dei “poeti” in circolazione…), ma prima o poi parlerò anche di questo.
Il Lettore

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