lunedì 12 gennaio 2015

Aristotele detective

Un anonimo lettore di questo blog mi chiede di leggere e fornire il mio parere su Margaret Doody e la serie dei suoi romanzi che ha come protagonista il filosofo Aristotele nei panni di un investigatore sui generis che dovrà chiarire alcuni delitti ambientati nell’antica Atene.

Grazie del suggerimento, ma non lo seguirò: i gialli storici della Doody non rientrano nel novero di quei libri che amo ri-leggere.


La serie di cui si parla è stata iniziata dalla letterata canadese Margaret Doody negli anni Settanta. Dapprima apprezzata dalla critica ma quasi del tutto ignorata dal pubblico (esattamente come i miei libri… sigh!), è stata riscoperta alla fine degli anni Novanta dando luogo ad un inaspettato boom di vendite che ha convinto la scrittrice a riprendere le avventure del filosofo con gongolante gaudio di Sellerio. Stranezze dell’editoria.
All’epoca ho letto una buona parte degli episodi usciti. Nei romanzi Aristotele interpreta la parte di un antesignano Sherlock Holmes, completo del Dottor Watson i cui panni sono vestiti dal discepolo Stefanos, e impiega la sua logica aristotelica per risolvere il mistero di alcuni delitti che coinvolgono anche personaggi eminenti, dapprima nella capitale greca, quindi andando in trasferta persino in Egitto.
Aristotele detective, come le altre puntate della serie, è un giallo tutto sommato semplice: lo stile è pacato, adeguato all’ambientazione antica e senza la velocità che caratterizza i thriller attuali, e nel quale anche i colpi di scena sono moderati e non hanno il sensazionalismo così spesso ricercato dagli autori moderni. La ricostruzione storica dell’Atene del III secolo avanti Cristo è rigorosa, così come gli usi e costumi dell’epoca. Per intenderci: non c’è nessun orologio al polso di una comparsa. Il personaggio di Stefanos appare leggermente amorfo, mentre si scopre un Aristotele sottilmente ironico che nasconde una vena di leggerezza sotto la patina della serietà.
Personalmente ho trovato i gialli della Doody leggermente noiosi: interessanti ma lenti, non quel tanto che ti fa arrivare a pensare uffa che palle e a lasciarlo a metà, ma quanto basta per non provare alcun desiderio di rileggerli come invece può succedere per altri romanzi. Come dicevo nel paragrafo precedente, la lentezza e la carenza di sorprese avvincenti si fanno sentire e di certo non ne permettono una lettura di tre ore la sera, a letto, senza cadere vittime del sonno.
Il Lettore

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