Un anonimo lettore di
questo blog mi chiede di leggere e
fornire il mio parere su Margaret Doody
e la serie dei suoi romanzi che ha come protagonista il filosofo Aristotele nei panni di un
investigatore sui generis che dovrà
chiarire alcuni delitti ambientati nell’antica Atene.
Grazie del suggerimento, ma
non lo seguirò: i gialli storici
della Doody non rientrano nel novero di quei libri che amo ri-leggere.
La serie di cui si parla è
stata iniziata dalla letterata canadese Margaret
Doody negli anni Settanta. Dapprima apprezzata dalla critica ma quasi del
tutto ignorata dal pubblico (esattamente come i miei libri… sigh!), è stata
riscoperta alla fine degli anni Novanta dando luogo ad un inaspettato boom di vendite che ha convinto la scrittrice
a riprendere le avventure del filosofo con gongolante gaudio di Sellerio.
Stranezze dell’editoria.
All’epoca ho letto una
buona parte degli episodi usciti. Nei romanzi Aristotele interpreta la parte di un antesignano Sherlock Holmes, completo del Dottor Watson i cui panni sono vestiti dal
discepolo Stefanos, e impiega la sua
logica aristotelica per risolvere il mistero di alcuni delitti che coinvolgono anche
personaggi eminenti, dapprima nella capitale greca, quindi andando in trasferta
persino in Egitto.
Aristotele
detective, come le altre
puntate della serie, è un giallo tutto sommato semplice: lo stile è pacato,
adeguato all’ambientazione antica e senza la velocità che caratterizza i
thriller attuali, e nel quale anche i colpi di scena sono moderati e non hanno
il sensazionalismo così spesso ricercato dagli autori moderni. La ricostruzione
storica dell’Atene del III secolo avanti Cristo è rigorosa, così come gli usi e
costumi dell’epoca. Per intenderci: non c’è nessun orologio al polso di una comparsa.
Il personaggio di Stefanos appare
leggermente amorfo, mentre si scopre un Aristotele
sottilmente ironico che nasconde una vena di leggerezza sotto la patina della
serietà.
Personalmente ho trovato i
gialli della Doody leggermente
noiosi: interessanti ma lenti, non quel tanto che ti fa arrivare a pensare uffa che palle e a lasciarlo a metà, ma
quanto basta per non provare alcun desiderio di rileggerli come invece può
succedere per altri romanzi. Come dicevo nel paragrafo precedente, la lentezza
e la carenza di sorprese avvincenti si fanno sentire e di certo non ne permettono
una lettura di tre ore la sera, a letto, senza cadere vittime del sonno.
Il Lettore
Nessun commento:
Posta un commento