venerdì 2 gennaio 2015

Il mio Ali

Vi auguro un buon inizio del 2015! Che sia un anno foriero di amenità e proficuo di avvenimenti stimolanti per voi tutti. Ok, basta con le cretinate.
Gianni Minà è uno dei pochi personaggi televisivi che ammiro e che mi sono stati sempre simpatici. Mettendo da parte il suo amore per il calcio, che non condivido, il suo modo di condurre programmi televisivi era professionale e accattivante, e come giornalista e scrittore scriveva e scrive benissimo: acuto e profondo, sempre con un’attenzione particolare a quegli aspetti inconsueti della materia da trattare che la rendono più interessante. Un ottimo giornalista.
Detto questo, ho trovato il suo libro un mattone davvero difficile da mandare giù.



L’interesse di mio figlio per la boxe sta valicando i confini della famiglia, e quando glielo hanno fatto trovare sotto l’albero me lo sono subito accaparrato io, confidando sul fatto che il pargolo era ancora impegnato nella lettura di Stephen King. Devo dire anche che ho cominciato a leggerlo con curiosità e una grande aspettativa, dipese sia dall’autore che dall’argomento: Muhammad Ali è stato in assoluto una delle più grandi personalità del secolo passato,  non a caso: “Il più grande”, e mi intrigava leggerne la visione di uno dei giornalisti che gli erano stati più vicino.

E poi, il prologo di Mina.
Mina Mazzini che scrive un prologo! Incredibile! Già solo questo basterebbe a incuriosire, tant’è vero che l’hanno scritto bello grosso al centro della copertina. Chissà perché.
Allora, leggo il prologo di Mina: nulla da dire. A seguire leggo la Prefazione, poi l’Introduzione e quindi le Istruzioni per chi legge questo libro (??? – a che scopo, mi domando…), e man mano cominciano i guai: in questi quattro capitoli mi sono stati ripetuti in continuazione gli stessi concetti, cioè tutte le ragioni per le quali Cassius Clay è un grande ed è giustamente diventato famoso. In quattro capitoli ho sentito parlare tre o quattro volte della medaglia olimpica, del rifiuto alla leva, del ritiro dell’alloro mondiale, della medaglia gettata nel fiume, del riscatto inaspettato contro Joe Frazier, dei nuovi titoli mondiali, del Parkinson e dell’accensione tremante della fiaccola. E alcune frasi dette dal pugile sono ripetute pari pari anche due o tre volte. E che cavolo! Per quanto interessanti, a un certo punto ti stufi di sentirti ripetere le stesse cose.
Dopodiché comincia il testo vero e proprio, costituito dagli articoli scritti da Minà nel corso della carriera del pugile, a partire da quello del 5 marzo 1971 antecedente un incontro con Frazier. Ora, gli articoli sono scritti benissimo, da un signor giornalista con le palle, perfetti per l’epoca in cui sono usciti, ma leggerli ora…  e tutti insieme…
Il fatto è che i pezzi sono datati, hanno circa un quarantennio, e sappiamo tutti come volta per volta è andata a finire. Pur essendo degli ottimi articoli, dotati anche di quel surplus che derivava dall’essere molto vicino al campione, raccolti in un unico libro mancano dell’immediatezza del momento, e ovviamente della tensione narrativa necessaria a sostenere un libro di oltre 400 pagine. Oltre al fatto che i tempi si sono modificati, sono cambiate le situazioni politiche e il modo di considerare lo sport e la boxe in particolare. Nonostante alcune interessanti perle che avrebbe potuto scrivere solo un intimo, e lo scavare a fondo nei sentimenti, la ripetitività dei contesti rende il tutto abbastanza noioso, e il tempo intercorso carente di freschezza.
Ma forse è un’opinione derivante dal fatto che all’epoca c’ero e ho vissuto quei matches da spettatore, e un giovane che non ha vissuto quei momenti sulla propria pelle e non ne conosce i retroscena potrebbe trovarne emozionanti i resoconti del prima e del dopo, anche se letti ora.
Di sicuro resta un testo dal valore storico indiscutibile, il quadro di un’epoca, una serie di preziose istantanee successive della vita di una grande personalità, ma se Minà avesse riscritto del campione la mera biografia, arricchendola con gli episodi vissuti di persona, sono sicuro che avrebbe saputo renderla  affascinante e coinvolgente quanto avrebbero saputo fare un Isaacson o un Moehringer.
Il Lettore

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