5 – LA PUNTEGGIATURA
Altra lezione su “come riuscire a far arrivare il Valutatore fino in fondo al nostro
testo”.
Morale anticipata: non
spargere a pioggia i punti e le virgole.
L’esatta collocazione dei segni interpuntivi, ovverossia la
punteggiatura, è essenziale in qualsiasi discorso e in qualsiasi lingua. L’uso
della punteggiatura viene di norma insegnato alle scuole elementari, ma da come
la utilizzano molti aspiranti scrittori sembra che dei tempi in cui una maestra
spiegava della differenza tra un punto
e un punto interrogativo ne sia
rimasta loro solamente un vaga reminiscenza. Che il mettere il segno giusto nel
posto giusto sia basilare è anche intuitivo: non standoci abbastanza attenti si
potrebbe incorrere in tragici equivoci:
“Stavo mangiando; la zia, lei, sbraitava”.
“Stavo mangiando la zia, lei sbraitava”.
Ma diamo per scontato che conosciate le regole di inserimento della
punteggiatura nella grammatica italiana, anche perché in questa sede si
dovrebbe supporre che esse siano un bagaglio già consolidato. In ogni caso, se
avete anche un minimo dubbio su qualsiasi aspetto di questo argomento, vi
consiglio di cercare una buona grammatica e ripassarvela (se inserite la parola
“punteggiatura” su Google appaiono 1.150.000 risultati circa: basta scegliere).
L’Accademia della Crusca, ad esempio, fornisce qui una spiegazione chiara e
sintetica dei vari segni interpuntivi,
e una ripassata non fa mai male.
Gli errori più comuni
riguardanti la punteggiatura che trovo negli elaborati che mi sottopongono da
valutare sono:
La
virgola tra soggetto e predicato:
atroce, non avete idea di quante persone cadano in questo sbaglio, pienamente
giustificata la professoressa di lettere che affibbia un bel “due” al tema in
cui compare questo errore. A riguardo ho già scritto qualcosa in questo post, concludendo che la
ragione per la quale si fa questo errore è perché parlando si inserisce molto spesso una pausa tra il soggetto del
discorso e l’azione: Giacomo (pausa) stava andando al bar, quando… (parlando).
Gli sprovveduti pensano bene di riportare quella pausa anche nello scritto: Giacomo, stava andando al bar, quando…
C’è una sola cosa da aggiungere: non fatelo. Mai.
L’abuso
di punti esclamativi:
esistono alcuni soggetti che ritengono che molte delle frasi che scrivono,
anche le più banali, siano da considerare talmente stupefacenti da doverle
sottolineare con il punto esclamativo. Nulla di più sbagliato: leggete qualcosa
dei grandi scrittori e vi accorgerete che di questo segno interpuntivo ne
mettono il meno possibile. Se proprio ritenete di non poterne fare a meno
ponetevi un limite: un punto esclamativo almeno ogni due pagine. Ma di meno
sarebbe meglio (quando necessario, ma solo se strettamente necessario, si può
derogare a questa regola nei dialoghi). E mai metterne due o più insieme! Mai,
dico mai, metterne più di uno!!! (oops…)
L’abuso
dei puntini di sospensione:
come sopra… anche in questo caso… non bisogna esagerare… nell’intenzione di
fornire un tono sospensivo ad una
frase… potrebbe stuccare…
La
confusione tra il “punto e virgola” e i “due punti”:
seguendo il proposito di inserire una pausa più lunga di quella fornita
da una virgola, ma più corta di quella rappresentata dal punto, in molti
inseriscono i “due punti” dove sarebbe stato meglio mettere il “punto e
virgola”; viceversa inseriscono il “punto e virgola” subito prima di una
proposizione atta a chiarire la frase precedente, ottenendo così una
separazione maggiore tra i concetti. Esiste un modo molto semplice per
accorgersi se si è usato l’interpuntivo giusto: rileggere con attenzione e
“sentire” se il discorso fila.
In misura minore mi capita
di incontrare una molteplicità di altri errori: virgola tra
predicato e complemento oggetto, accenti sbagliati (vedo
spessissimo la parola perchè al posto
di perché, e mi domando: ma dal
momento che word stesso lo segnala
come errore, non sorge mai il dubbio del perché
il programma sottolinea quella parola in rosso?), accento confuso con
apostrofo, apostrofi non necessari, uso dei segni maggiore (>) e minore
(<) o delle virgolette alte (“”) per i dialoghi al posto delle virgolette
basse («»).
Osservate la differenza
estetica tra i due esempi che seguono:
«Sei proprio uno stupido».
<<Sei proprio uno
stupido>>.
Solo una persona non
abituata a leggere adopera il secondo sistema, e sapeste quante volte mi capita
di incontrarlo. A quelli che a questo punto potrebbero obiettare ma sulla tastiera le virgolette basse non ci
sono! suggerisco di cliccare su inserisci
" simbolo
" altri
simboli e cercarle nei set di
caratteri, dopodiché attribuire loro una combinazione di tasti di scelta rapida (a questo scopo
consultare la guida in linea di word
potrebbe risultare utile).
Ancora a proposito di
dialoghi: per introdurre un dialogo alcune case editrici preferiscono usare il
trattino lungo (– , da non confondere con il trattino corto: -):
– Sei proprio uno stupido.
E in questo caso il
trattino non si ripete a conclusione del periodo, a meno che non si intenda
inserire una frase esplicativa:
– Sei proprio uno stupido –
esclamò Gianni, – smettila subito!
Per racchiudere i parlati io
preferisco invece le virgolette basse:
«Sei proprio uno stupido».
La scelta di inserire la
punteggiatura finale dentro o fuori delle virgolette:
«Sei proprio uno stupido».
«Sei proprio uno stupido.»
non è stata ancora risolta
in maniera univoca, e di conseguenza potete usare il sistema che più vi
aggrada, ma abbiate la coerenza di adoperare lo stesso metodo in tutto
l’elaborato.
Se proprio non volete
consultare una grammatica, prendete un bel libro e cercateci dentro l’esempio
che vi angoscia al momento: non sapete se mettere il segno d’interpunzione
prima o dopo le virgolette? Non sapete se omettere o collocare uno spazio? Non
sapete se dopo un dialogo concluso con un punto interrogativo si ricomincia con
la maiuscola o la minuscola? Aprite un libro, cercate una frase simile a quella
che state scrivendo e prendete esempio.
Ne avrete di libri in casa,
no?
Lo Scrittore Insegnante
Non dare addosso solo ai poveri esordienti che, inseguendo un sogno, sono così calati nella parte da non rendersi conto delle bestiate che scrivono. Pensa che potrebbero finire nelle mani di editori che ho conosciuto io. L'ultimo è stato anche quello che mi ha spinto a uscire in maniera definitiva da questo mondo.
RispondiEliminaHo in mano un contratto editoriale, valido e onesto ed equo, da firmare. Voglio però prima rendermi conto di cosa e come pubblicano, ne ho passate fin troppe e l'espereinza servirà pur a qualcosa. Compro due libri, uno dei primi pubblicati e l'ultimo. Per il primo consumo una matita a segnare refusi, con il secondo mi scopro allibito già dalla seconda pagina. Discorso concluso con il punto, la frase successiva inizia con una minuscola. E così per tutto il romanzo.
Chiedo spiegazioni all'editore, mi risponde con queste testuali parole:
«Si tratta di una precisa scelta editoriale.»
Nella pattumiera c'è finito il contratto e tanti saluti all'editoria.
Ti capisco in pieno, ma penso che tu non debba fare di ogni erba un fascio. Di editori così ne conosco, ma ce ne sono anche altri che facendo sacrosanto il loro diritto a guadagnare si comportano però in maniera diversa. Mi dispiace che tu abbia preso questa decisione, ma spero che non sia definitiva...
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