Come diceva il saggio: più
cose conosci, più ti accorgi di non
conoscere. Nonostante le migliaia di libri letti, ogni tanto mi capita di
cadere nell’angoscia quando mi accorgo della quantità incredibile di lacune di
cui è costellato il mio bagaglio culturale.
Per esempio: non avevo mai,
e dico mai, letto Giorgio Scerbanenco.
Imperdonabile.
E fortuna ha voluto che ho
inaugurato la lettura di questo grande autore proprio con quello che è
considerato il suo romanzo migliore, questo Traditori di tutti che nel 1968 è stato insignito del Grand prix de littérature policière come
miglior romanzo poliziesco straniero, anche se magari, per rispettare la continuità,
avrei dovuto cominciare con Venere
privata, il primo romanzo della
serie con protagonista Duca Lamberti.
Fatto sta che questo Traditori di tutti si è rivelata una
vera sorpresa nonostante abbia quasi cinquant’anni: un romanzo dal ritmo
serrato che ti incatena alla lettura facendoti sbuffare quando magari ti
telefonano nel bel mezzo di un punto cruciale, e questo ad onta di uno stile
dai periodi lunghi fittamente “virgolati” così diverso dai giallisti odierni,
leggi Massimo Carlotto o Carlo Lucarelli, che adoperano periodi
cortissimi con frasi di poche parole. A partire dall’incipit, con un periodo di
ben 25 righe senza alcun punto. Ma il ritmo è scandito da una narrazione
asciutta, mirata, essenziale, con pochi abbellimenti ma ricca di quegli interventi autoriali ben messi che
sottolineano uno stile indiretto libero
veramente rimarchevole.
Questa serie di Giorgio Scerbanenco è ambientata in una
Milano violenta nella quale dilaga la delinquenza con lo stesso ritmo con cui
la città cresce, e ha come protagonista un personaggio in piena crisi dilaniato
da molti dubbi su quello che sarà il proprio futuro, e proprio su questi dubbi
l’autore impernia le riflessioni di Duca
Lamberti. Dubbi sia esistenziali che comportamentali, influenzati non poco
da considerazioni filosofiche quando il protagonista si trova a dover decidere
se per se stesso possano essere validi i dettami esposti da Cesare Beccaria nel suo Dei delitti e delle pene: se siano da
considerare giusti in assoluto o se dovrebbero essere mediati da visioni più
reali di quale potrebbe essere la “vera” giustizia.
Per farla più comprensibile:
a tutti piacerebbe farsi giustizia da soli come Tex Willer.
Scerbanenco mostra inoltre
di conoscere molto bene i meccanismi psicologici umani, perlomeno di alcuni
tipi di persone, e li sa usare per completare la caratterizzazione dei
personaggi che escono come figure a tutto tondo impresse in modo indelebile
nella mente del lettore. E la trama del romanzo è solida, ricca di aspetti
secondari che però non distolgono l’attenzione dal flusso principale, e da
autore già navigato Scerbanenco sa come lasciare uno dei misteri della vicenda
in uno stato di insolutezza fino alle ultime pagine per poi risolverlo in modo
del tutto soddisfacente per il lettore.
Gran romanzo, si è capito
che mi è piaciuto?
Il Lettore
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