Come pochi altri grandi
scrittori Kurt Vonnegut aveva la
capacità di infondere sapienza e leggerezza nei suoi libri, sotto forma di
vicende narrate senza mai emettere il minimo giudizio né cadere nel
pregiudizio, ma lasciando che ogni lettore traesse dai fatti raccontati le
proprie conclusioni. Con una prosa semplice ma allo stesso tempo ricca di
invenzioni narrative e stilistiche, questo Galàpagos
si rivela farcito di spunti tragici, umoristici, sociali, sentimentali e
morali. Anche se…
Kurt
Vonnegut è diventato
famoso in tutto il mondo per quel Mattatoio
n. 5 nel quale racconta il tragico bombardamento di Dresda ad opera delle
fortezze volanti alleate e, come è sua consuetudine, l’autore affronta anche in
questo romanzo temi importanti quali l’antimilitarismo, l’ecologia, la condanna
dell’andazzo insostenibile accelerato dall’umanità nelle ultime decine di anni,
insieme alla denuncia del capitalismo scriteriato, dell’abuso di alcoolici,
della distruzione delle risorse naturali e dell’egoismo individuale.
Nel libro c’è un narratore enigmatico, che fa sempre
riferimento a se stesso senza mai dire chi sia (e ovviamente io non ve lo
rivelerò…), si sa solo fin dall’inizio
che sta raccontando i fantasiosi fatti successi nel 1986 da un tempo lontano un
milione di anni nel futuro, dal quale lascia capire che quei fatti ed altri
hanno portato a catastrofi tali da far scomparire del tutto la razza umana come
la intendiamo ora per essere sostituita da una popolazione le cui mutazioni
genetiche hanno risolto parecchi dei
problemi che oggi affliggono noi umani, delle quali un cervello più piccolo per
commettere meno stronzate è la più rilevante.
E questo misterioso io
narrante si limita a raccontare una miriade di storie e situazioni a corredo
del filone principale senza mai trarne una morale esplicita, come è prerogativa
dei grandi scrittori, utilizzando uno stile semplice e immediato da
affabulatore. Una particolarità stilistica è quella di anteporre un asterisco al
nome dei personaggi che stanno per morire di lì a breve (*Pinco Pallino), come
un’anticipazione: quando noti l’apparire dell’asterisco sai che entro quella
giornata quel personaggio morirà, e ciò innesca la curiosità del venire a
conoscenza del come.
Ma proprio perché il
romanzo è condito da una valanga di personaggi per ognuno dei quali si dipana una
storia a parte, infarcito di analessi e prolessi continue, di salti nel tempo, di
invenzioni astruse, di riallacci ad episodi narrati decine di pagine prima, di
attese lunghissime prima di venire a conoscenza del prosieguo della vicenda,
ben presto si rivela una narrazione non agevole da portare avanti e non di rado
ti fa spazientire per la prolissità del racconto.
Una volta terminato ho
concordato con me stesso che Mattatoio
n. 5 mi era piaciuto molto di più, ma ciò non toglie che anche questo
romanzo sia uno di quelli che fanno pensare parecchio e una dimostrazione di
come un bravo scrittore possa sbrigliare una sconfinata fantasia a beneficio di
una toccante denuncia sociale.
Il Lettore
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