Come ho anticipato parlando
del libro di Armando Gallo sulla
storia dei Genesis, vi propongo
anche la recensione della prima autobiografia dei Pink Floyd, scritta da quel Nick
Mason che per quarant’anni abbiamo visto seduto dietro piatti e tamburi e
ci siamo sempre chiesti come sia stato possibile che uno con un fisico come il
suo sia finito a suonare la batteria invece del flauto traverso.
Ma nonostante le apparenze Nick Mason la batteria la sapeva suonare,
anche se magari non a livelli eccelsi, e anche se lui stesso racconta nel libro
che, dopo un tentativo disastroso di imparare a padroneggiare pianoforte e
violino, la scelta di mettersi a fare il batterista è stata del tutto casuale e
solo perché l’amico di famiglia e giornalista Wayne Minnow gli aveva regalato un paio di spazzole metalliche.
Il libro narra tutta la
storia dei Pink Floyd vista
dall’unico componente del gruppo che è rimasto fisso al suo posto per tutto
l’arco di tempo quarantennale in cui hanno prodotto quella musica stupenda che
ha segnato più di una generazione. Non starò qui a dire chi erano i Pink Floyd, basti ricordare che hanno
venduto più di 250 milioni di dischi
e che il loro The Dark Side of The Moon da
solo ne ha venduti 50 milioni ed è
rimasto per ben 1100 settimane nel US Top Catalog, diventando il terzo
album più venduto di tutti i tempi (dopo Thriller
di Michael Jackson – 115 mln – e Back in Black degli AC/DC – 52 mln).
Nella foto sotto il
complesso nell’epoca d’oro: dalla vostra sinistra verso destra il bassista
George Roger Waters, il nostro Nicholas
Berkeley “Nick” Mason, David Jon “Dave” Gilmour alla chitarra e il
compianto tastierista Richard William “Rick”
Wright.
Mentre in quest’altra foto
ancora più antica è raffigurata la band
degli esordi, con quel Roger Keith “Syd”
Barrett (il secondo da sinistra, in piedi tra Mason e Waters) che ha avuto
un ruolo basilare nella costituzione del gruppo e la cui tragica vicenda è
raccontata da Mason in pagine dalle quali traspare il senso di colpa provato da
tutti i componenti del gruppo per averlo in pratica abbandonato al suo destino
dopo che si era dimostrato del tutto inaffidabile, a causa della sua
tossicodipendenza, nel portare avanti una carriera da professionista.
E come in altre parti del
libro, anche in questo Mason sembra onesto nel raccontare, oltre ai momenti
esaltanti, anche gli episodi più cupi e tristi della storia del gruppo, quasi
confessando un mea culpa per aver
gestito, lui come tutti gli altri, una situazione critica in un modo non del
tutto corretto.
Mason racconta di essersi
deciso a scrivere il libro dopo che per anni ha dovuto rispondere a domande del
tipo da dove viene il nome Pink Floyd? oppure dov’è Syd? e sembra leggendo che dentro ci abbia messo proprio
tutto fino a completare quasi 400 pagine di grande formato con una
formattazione del testo a caratteri minutissimi per lasciar spazio alle
centinaia di fotografie che ritraggono anche gli aspetti più nascosti della
loro odissea.
Ha fatto di sicuro un buon
lavoro: il libro è divertente,
scritto molto bene, pieno di aneddoti curiosi e fatti particolari e condito di
una buona dose di humour britannico.
Mason si sarà anche fatto aiutare dall’editor
Philip Dodd, del quale tesse le lodi
nella pagina dedicata ai ringraziamenti, ma non si può negare che è stato bravo
del suo ed è quindi capace anche di scrivere oltre che di suonare e guidare
automobili da corsa (ha partecipato a 5 edizioni della 24 ore di Le Mans e ha
scritto anche libri e articoli sul tema dell’automobilismo).
Una cosa curiosa: tra le
persone a cui Mason indirizza i ringraziamenti ci sono anche Douglas Adams – vedi etichette a
lato, l’autore di Guida Galattica per Autostoppisti nonché amico di Dave Gilmour – e Peter Gabriel, nonché altri nomi famosi dell’universo musicale come
Alan Parsons e Robbie Williams.
La foto che segue vi fa
vedere invece com’è Nick Mason oggi:
Va be’, del libro ne ho
parlato bene ma ora basta, altrimenti mi faccio prendere la mano, anche perché mi stimola la musica che sto
ascoltando in sottofondo: per scrivere questo post ho inserito nel lettore Atom Heart Mother… ci siamo capiti?
Ancora a proposito di
volumoni presenti nella sezione musicale della mia libreria… la recensione di GENESIS revelations ve la risparmierò,
giuro!
Ma forse prima o poi mi
toccherà di parlare delle 850 pagine di un altro tomo fondamentale, quello con
il primissimo piano di un accigliato Miles
Davis in copertina: il mitico Jazz
di Arrigo Polillo…
Il Lettore amante della
buona musica
Mi è venuta voglia di leggerlo, soprattutto per sapere di più sulla fine di Syd Barret. Mi ha colpito molto che si sia fatto fuori con le droghe un attimo prima del successo planetario e che gli altri ne abbiano perso le tracce al punto da non riconoscerlo quando si è presentato in studio diversi anni dopo la sparizione. Personalmente non disdegnerei la recensione dell'altro volume sui Genesis, ma la mia è una malattia conclamata.
RispondiEliminaPaolo Giovagnoni
Il problema di Barrett con la droga risaliva già a molto tempo prima che diventassero famosi, in pratica era già tossicodipendente quando ha cominciato a suonare. Chissà... se ti potesse aiutare per la tua malattia...
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