giovedì 3 aprile 2014

Troppo bello per essere vero

Il libro di oggi, dal sottotitolo Autobiografia di un falsario, rientra sicuramente nel novero delle migliori autobiografie che abbia mai letto, e gareggia alla pari con le biografie di professionisti come Isaacson e Moehringer, nonostante l’autore sia sì un professionista, ma in tutt’altro campo.

Per quelli che fossero incuriositi la brutta notizia è che, a detta del cugino che gentilmente me lo ha prestato, il libro è praticamente introvabile (ma in rete ho visto che c’è in giro qualcosa in versione epub).


Troppo bello per essere vero è l’affascinante autobiografia di uno dei più famosi falsari nel campo dell’arte, attivo nella seconda metà del secolo scorso, che ha fatto mettere le mani nei capelli a quei cosiddetti esperti e critici che hanno acquistato le sue opere attribuendole di volta in volta ad artisti più o meno famosi vissuti dal Quattrocento all’Ottocento.
Il libro è divertente, dominato dal classico humour inglese con un pizzico di understatement, e fornisce un quadro scanzonato del mondo del mercato dell’arte e di tutti quelli che vi gravitano intorno: dai collezionisti agli esperti, dagli amatori agli pseudo-intenditori, dagli artisti ai mercanti. Tutte categorie che Eric Hebborn è riuscito ad ingannare con la sua straordinaria abilità nel riprodurre, o per meglio dire “creare”, disegni “originali” di autori del passato. Hebborn non copiava, ma ritraeva “di nuovo” alla maniera di, e in genere lasciava che fosse qualche “esperto” ad attribuire la paternità dell’opera da lui “ritrovata” in qualche mercatino.
L’autore illustra anche le tecniche che di volta in volta ha utilizzato per far passare un suo disegno per un Castiglione o un Van Dyck, per un Parri Spinelli o per un Rubens, descrivendo anche come è riuscito a reperire le carte e i colori originali dell’epoca dalla quale il disegno doveva provenire, fornendo in definitiva una feroce presa in giro dell’ambiente del mercato artistico.
Oltre alle disquisizioni tecniche, affascinanti anche per l’appartenere a quel mondo romantico del falsario che ruba a un ceto ricco, il libro è interessante anche per la vita passata da Hebborn  a spostarsi da Londra a Roma in ambienti dove il culto del bello è dominante, e per il modo con cui l’autore tratta il tema della propria omosessualità. O meglio, il fatto che non lo tratti proprio, e che lasci apparire nel testo questo suo lato dandolo per scontato, in un modo del tutto spontaneo e naturale, come una cosa normalissima, è come uno schiaffo per tutti coloro che in questo momento storico fanno della liberalizzazione dell’omosessualità una bandiera da sventolare solo per mettersi in mostra.
Per fortuna tra i miei interessi non c’è il collezionismo di disegni antichi, altrimenti a quest’ora invece di scrivere mi sarei trovato a piangere.
Il Lettore 

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