Il libro di oggi, dal
sottotitolo Autobiografia di un falsario,
rientra sicuramente nel novero delle migliori autobiografie che abbia mai
letto, e gareggia alla pari con le biografie di professionisti come Isaacson e Moehringer,
nonostante l’autore sia sì un professionista, ma in tutt’altro campo.
Per quelli che fossero
incuriositi la brutta notizia è che,
a detta del cugino che gentilmente me lo ha prestato, il libro è praticamente
introvabile (ma in rete ho visto che c’è in giro qualcosa in versione epub).
Troppo
bello per essere vero è
l’affascinante autobiografia di uno dei più famosi falsari nel campo dell’arte,
attivo nella seconda metà del secolo scorso, che ha fatto mettere le mani nei
capelli a quei cosiddetti esperti e critici che hanno acquistato le sue opere
attribuendole di volta in volta ad artisti più o meno famosi vissuti dal
Quattrocento all’Ottocento.
Il libro è divertente,
dominato dal classico humour inglese
con un pizzico di understatement, e
fornisce un quadro scanzonato del mondo del mercato dell’arte e di tutti quelli
che vi gravitano intorno: dai collezionisti agli esperti, dagli amatori agli
pseudo-intenditori, dagli artisti ai mercanti. Tutte categorie che Eric Hebborn è riuscito ad ingannare
con la sua straordinaria abilità nel riprodurre, o per meglio dire “creare”,
disegni “originali” di autori del passato. Hebborn non copiava, ma ritraeva “di
nuovo” alla maniera di, e in genere
lasciava che fosse qualche “esperto” ad attribuire la paternità dell’opera da
lui “ritrovata” in qualche mercatino.
L’autore illustra anche le
tecniche che di volta in volta ha utilizzato per far passare un suo disegno per
un Castiglione o un Van Dyck, per un Parri Spinelli o per un Rubens,
descrivendo anche come è riuscito a reperire le carte e i colori originali
dell’epoca dalla quale il disegno doveva provenire, fornendo in definitiva una
feroce presa in giro dell’ambiente del mercato artistico.
Oltre alle disquisizioni
tecniche, affascinanti anche per l’appartenere a quel mondo romantico del
falsario che ruba a un ceto ricco, il libro è interessante anche per la vita
passata da Hebborn a spostarsi da Londra
a Roma in ambienti dove il culto del bello è dominante, e per il modo con cui
l’autore tratta il tema della propria omosessualità. O meglio, il fatto che non
lo tratti proprio, e che lasci apparire nel testo questo suo lato dandolo per
scontato, in un modo del tutto spontaneo e naturale, come una cosa
normalissima, è come uno schiaffo per tutti coloro che in questo momento
storico fanno della liberalizzazione dell’omosessualità una bandiera da
sventolare solo per mettersi in mostra.
Per fortuna tra i miei
interessi non c’è il collezionismo di disegni antichi, altrimenti a quest’ora
invece di scrivere mi sarei trovato a piangere.
Il Lettore
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