venerdì 28 marzo 2014

La Forma e la Sostanza

Giulio Mozzi, nel suo (Non) un corso di scrittura e narrazione, riporta un brano di Annamaria Testa tratto da Le vie del senso: “Prestare una giusta attenzione alla forma nella quale si trasmettono i testi (…) potrebbe (dovrebbe?) essere il segno di un’altrettanto giusta attenzione alla sostanza. A volte, invece, si tende a considerare la forma tanto più disprezzabile o irrilevante quanto più i contenuti sono, o vogliono essere fondamentali. E’ un’ingenuità che si può pagare cara”.

La pena è la sospensione definitiva della lettura da parte del Valutatore della Casa Editrice. Pena capitale, oserei dire.


Mozzi commenta: “Non ho potuto fare a meno di pensare, leggendo quel bel libretto, ai dattiloscritti in attesa di lettura che sono impilati qui, a destra del tavolo sul quale sto scrivendo. Di quei dattiloscritti, alcuni mi sembrano addirittura impossibili da leggere. Corpi piccolissimi, margini inesistenti, font bizzarri, impaginazioni irregolari. (…) Di fronte a un dattiloscritto semplicemente illeggibile, la mia domanda è «Ma questa persona, vuole davvero farsi leggere?»”.
Come li capisco!
Io stesso scrivevo in questo post: “Se siete proprio convinti, allora il passo successivo è impaginare la vostra opera in modo che sia un piacere leggerla (ad uso pressoché esclusivo di un eventuale Valutatore): caratteri sufficientemente grandi, righe ben spaziate, margini ampi sia di lato che sopra e sotto il testo. Questo è facile, basta ricalcare una qualsiasi pagina di un romanzo in una buona edizione. Ma fatelo, renderete la lettura più piacevole a colui che dovrà giudicare l’opera e lo predisporrete in modo positivo. Non fate l’errore di sottovalutare questo aspetto”.
Ma tutti coloro che leggono manoscritti inediti sanno per esperienza come una mole considerevole di materiale arrivi invece redatta in maniera illeggibile, sia perché compressa nel foglio come gli schizzi in una tela di Pollock, sia a causa di refusi ed errori ortografici. Per non parlare poi dei contenuti.
Personalmente mi si fa male quando sono costretto a leggere un Times New Roman corpo 9 a interlinea singola che riempie una pagina senza margini con più di 900 parole (5400 caratteri!): mi indispone all’impatto, prima ancora di cominciare a leggere la prima riga. Mi irrita, e questo non significa esattamente che sono nello stato d’animo adatto a giudicare benevolmente lo scritto. Tra l’altro, una tale impaginazione significa che l’autore non ha nemmeno riletto il proprio testo, altrimenti si sarebbe accorto della difficoltà di lettura in cui si stava impelagando, e da ciò deriva che il testo sarà anche pieno zeppo di errori di qualsiasi tipo. Ne consegue che quell’autore il proprio testo non lo ama neanche abbastanza da controllarlo e dotarlo di un minimo di qualità estetica, non parliamo dell’averselo gustato per se stesso.
Ma come? Tu stesso non lo ami e pretendi che qualcun altro debba leggerlo?
Il Valutatore 

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