sabato 1 marzo 2014

Di carne e di nulla

Oltre ad essere il rappresentante più significativo dell’ultima generazione di scrittori statunitensi, di David Foster Wallace si dice anche fosse un genio. Un genio che si è impiccato a 46 anni.

Una caratteristica intrinseca della genialità è quella di saper attingere a risorse che ai comuni esseri umani sono negate. Risorse che permettono di eccellere nel proprio campo e che permettono anche di trovare la forza di continuare a svolgere al meglio ciò che si sta portando avanti. Einstein, Leonardo, Michelangelo, Galileo sono arrivati tutti alla vecchiaia. Ma è anche possibile che la genialità di Wallace avesse raggiunto un livello talmente elevato da farlo arrendere all’evidenza, nonostante le risorse superiori, che non ci fosse più trippa per gatti.


Dopo aver sentito parlare di questo genio mi era presa la voglia di leggere qualcosa di suo. Mi sono informato un po’ in giro e ho scartato l’approccio al suo romanzo forse più famoso, Infinite Jest, spaventato dalla lunghezza a metà strada tra Il Signore degli Anelli e Alla Ricerca del Tempo Perduto (e sì che il suo editor gli ha fatto tagliare, in fase di pubblicazione, ben quattro o cinquecento pagine). Per dirla tutta mi hanno preoccupato anche parecchie recensioni che ho letto e che riportavano tutte pressappoco lo stesso commento: bellissimo! geniale! fuori dal comune! straordinario! certo, un pochino noioso… E a me questa piccola aggiunta finale, sintomo esteriore di problemi di lettura (e interpretazione critica) ben più gravi di quelli esternati poco prima, fa veramente cadere le braccia. Se ci tieni a precisare che è noioso, come fai a dire che è bellissimo?
Comunque tutto ciò ha contribuito ad incuriosirmi ancora di più. L’altro giorno in libreria ho notato questo Di carne e di nulla e mi sono detto perché no? Proviamo, vediamo come e cosa scriveva questo Wallace. In questo caso saggistica, non-fiction, pagine sparse sui più svariati argomenti.
Be’, dopo la lettura devo dire che l’aggettivo più rispondente che mi viene in mente è: sorprendente. Il libro è una raccolta di alcuni saggi, e da quelli che sono riuscito a leggere sono rimasto veramente sorpreso, sia dalla cultura oceanica dell’autore sia dalla sua capacità espositiva. Quelli che sono riuscito a leggere. Sì, perché alcuni, come The Best of the Prose Poem  sono veramente illeggibili, sia per la forma riassuntiva sia per i riferimenti (per me) arcani.
Ma altri, quelli accessibili, mostrano una scrittura moderna e veloce, un’ironia cupa, un profondo senso dell’attualità, una spietatezza e una lucidità nell’osservare il mondo attuale che dimostrano come Wallace abbia avuto una capacità critica fuori del comune, oltre ad interessi multidisciplinari estremamente variegati.
La spettacolare analisi che fa della struttura di un film in L’importanza (per così dire) seminale di Terminator 2, o lo stupefacente paragone tra l’AIDS e il drago delle favole con la bella nel castello in Di nuovo fuoco e fiamme, condito da un uso del turpiloquio azzeccato e coerente; l’analisi semantica approfondita di Notazioni su ventiquattro parole; la critica strutturale (molto migliore di quella che sto portando avanti io in queste pagine) di testi altrui in Il plenum vuoto o Borges sul lettino, rivelano un uomo che sicuramente sapeva guardare oltre il panorama sulla cui linea d’orizzonte si ferma lo sguardo della gente comune.
E’ semplicemente fantastico, in La natura del divertimento, l’approfondimento di Wallace sulla metafora con cui Dom De Lillo, in Mao II, paragona un libro in composizione da parte di uno scrittore ad un  “bimbetto mostruosamente mutilato che segue lo scrittore ovunque”. Wallace continua: “Eppure è tuo, il bambino, è te, e gli vuoi bene, lo coccoli, gli pulisci il fluido cerebrospinale dal mento pendulo con il polsino dell’unica camicia pulita che ti sia rimasta perché non fai il bucato da una cosa come tre settimane perché finalmente sembra che proprio questo personaggio finalmente vibri a un soffio dal comporsi e funzionare e sei terrorizzato all’idea di sprecare il tempo facendo qualcosa di diverso dal lavorarci su perché ti basta distogliere lo sguardo un secondo e lo perdi, condannando l’intero bambino a una mostruosità protratta.” E prosegue a parlare di questo “bambino” per altre due pagine, deviando poi sulla sua personale interpretazione del divertimento che prova uno scrittore mentre sta creando un’opera.
Tutto il libro è una raccolta di riflessioni acutamente rivelatrici e singolari (come descrivere Roger Federer, di cui Wallace da buon tennista era un fervente ammiratore, ricorrendo a Tommaso d’Aquino), riflessioni personali messe su carta, che rivelano una personalità sicuramente fuori dal comune. Talmente tanto fuori dal comune che magari si è impiccato perché non trovava un altro alla sua altezza nemmeno per poter parlare.
Non so ancora se un giorno o l’altro mi deciderò ad affrontare uno dei suoi romanzi, ma certo è che mi ha stuzzicato non poco.
Il Lettore 

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