mercoledì 28 agosto 2013

Ma perché spedirlo a un editore?

Mi è arrivato un ennesimo testo da valutare per una possibile pubblicazione. Lo scritto consisteva in una decina di pagine contenente ognuna tra i 3500 e i 4000 caratteri, in pratica quasi illeggibile senza ingrandire adeguatamente il foglio elettronico, e verteva sui pensieri dello scrivente in occasione della morte del proprio padre.
Ho iniziato a scorrerlo e mi sono subito reso conto che purtroppo di illeggibile non c’era solo il layout.
Oltre ad essere redatto in uno “stile” enfatico e altisonante, il testo era pieno zeppo di errori sia ortografici che grammaticali, come lettere maiuscole dimenticate, virgole alla come viene viene, segni di punteggiatura - come parecchi punti alla fine del periodo - del tutto mancanti, assenza di particelle pronominali dove invece necessarie. Nello spazio di poche righe si alternavano repentini cambi di registro e/o di tono: dal narrare in terza persona al rivolgersi direttamente al padre defunto, dallo scrivere distaccato al lasciarsi trasportare dalle emozioni, per non parlare delle numerose frasi senza senso alcuno e dei periodi senza costrutto.
Un vero sfacelo.

Ho retto per poche righe. Sono andato avanti saltando e leggiucchiando qua e là solo per accertarmi che fosse del tutto omogeneo nella sua illeggibilità e quindi ho archiviato il testo comunicando all’editore che per l’ennesima volta non era proprio il caso.


Ora, io capisco come la perdita di un genitore sia un evento tragico che colpisca in maniera profonda, incomprensibile e inconsolabile la coscienza di ciascuno di noi.
Capisco anche che ad una persona possa venire la pulsione di fermare sulla carta i sentimenti che ha provato in una simile occasione.
E capisco perfino che una persona questi pensieri li possa scrivere anche senza avere la minima cognizione di come renderla una lettura interessante, o anche che li voglia buttare giù come capita e poi mettere in un cassetto per trasmetterli, se ritiene sia il caso, alla propria discendenza. Anzi, è giusto che lo faccia, e capisco come questo sia un suo sacrosanto diritto.
Quante cose capisco.
Ma quello che non capisco è come a questa persona possa venire l’idea di ritenere che una “cosa” simile sia pubblicabile sotto forma di libro, o di pensare che possa interessare ad un editore, o di essere convinto che quest’ultimo ne debba rimanere affascinato ad onta della barbara presentazione e degli errori grammaticali.
È solo questo, che non capisco.
Il Valutatore

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