Mi è arrivato un ennesimo testo da valutare per una
possibile pubblicazione. Lo scritto consisteva in una decina di pagine
contenente ognuna tra i 3500 e i 4000 caratteri, in pratica quasi illeggibile
senza ingrandire adeguatamente il foglio elettronico, e verteva sui pensieri dello
scrivente in occasione della morte del proprio padre.
Ho iniziato a scorrerlo e
mi sono subito reso conto che purtroppo di illeggibile
non c’era solo il layout.
Oltre ad essere redatto in
uno “stile” enfatico e altisonante,
il testo era pieno zeppo di errori sia ortografici che grammaticali, come
lettere maiuscole dimenticate, virgole alla come viene viene, segni di
punteggiatura - come parecchi punti alla fine del periodo - del tutto mancanti,
assenza di particelle pronominali dove invece necessarie. Nello spazio di poche
righe si alternavano repentini cambi di registro e/o di tono: dal narrare in
terza persona al rivolgersi direttamente al padre defunto, dallo scrivere
distaccato al lasciarsi trasportare dalle emozioni, per non parlare delle
numerose frasi senza senso alcuno e dei periodi senza costrutto.
Un
vero sfacelo.
Ho retto per poche righe.
Sono andato avanti saltando e leggiucchiando qua e là solo per accertarmi che
fosse del tutto omogeneo nella sua illeggibilità e quindi ho archiviato il
testo comunicando all’editore che per l’ennesima volta non era proprio il caso.
Ora, io
capisco come la perdita di un genitore sia un evento tragico che colpisca
in maniera profonda, incomprensibile e inconsolabile la coscienza di ciascuno
di noi.
Capisco
anche che ad una persona
possa venire la pulsione di fermare sulla carta i sentimenti che ha provato in
una simile occasione.
E
capisco perfino che una
persona questi pensieri li possa scrivere anche senza avere la minima
cognizione di come renderla una lettura interessante, o anche che li voglia buttare
giù come capita e poi mettere in un cassetto per trasmetterli, se ritiene sia
il caso, alla propria discendenza. Anzi, è giusto che lo faccia, e capisco come
questo sia un suo sacrosanto diritto.
Quante cose capisco.
Ma
quello che non capisco è
come a questa persona possa venire l’idea di ritenere che una “cosa” simile sia
pubblicabile sotto forma di libro, o di pensare che possa interessare ad un editore,
o di essere convinto che quest’ultimo ne debba rimanere affascinato ad onta della
barbara presentazione e degli errori grammaticali.
È solo questo, che non
capisco.
Il Valutatore
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