lunedì 5 agosto 2013

La condanna del sangue - La primavera del Commissario Ricciardi

Ciò che emerge dai romanzi di Maurizio de Giovanni è un’umanità variegata che si palesa attraverso una miriade di aspetti tra i quali spiccano una malinconia di fondo e un’ineluttabilità del dramma del vivere quotidiano che rendono il tono di ogni avventura del Commissario Luigi Alfredo Ricciardi denso di tristezza. A mio parere De Giovanni è al momento uno dei migliori autori italiani in circolazione.


L’ambientazione della trama di La condanna del sangue – La primavera del Commissario Ricciardi, nella Napoli del ventennio fascista, satura di povertà, odori forti, differenze sociali, delitti e prevaricazioni politiche, non aiuta a risollevare il lettore dal senso di disperazione attraverso il quale De Giovanni lo conduce per mano, anzi, gli permette di mettere la propria nella mano del Ricciardi e da lui stesso farsi condurre in silenzio tra i vicoli dei Quartieri Spagnoli o tra le ville in costruzione del Vomero, condannati entrambi dalla maledizione del Fatto (cioè della peculiarità di poter vedere i morti di morte violenta cristallizzati nell’attimo immediatamente antecedente al trapasso) che incombe sul Commissario.
E il lettore si lascia condurre, ammaliato da una prosa limpida e scorrevole che dipana ogni vicenda fino alla sua conclusione alternando elementi investigativi a faccende personali che mettono in luce tutte le sfaccettature del caleidoscopio di sentimenti di cui sono permeate le miserie umane, in una ridda di sentimenti sia nobili sia meschini, con l’ombra sempre costante della morte che incombe sui personaggi. Ricciardi, Maione, Bambinella, Enrica, Modo, e perfino le spalle come Lucia, Camarda e Cesarano, Ponte e il Questore Garzo sono caratterizzati in modo mirabile soprattutto attraverso i loro comportamenti, entrano da subito nella consapevolezza del lettore e la loro vita quotidiana si fonde insieme a gioie e tragedie con l’intreccio poliziesco sul quale il romanzo è imperniato. Un romanzo più che un giallo, nel quale la ricerca del colpevole passa in secondo piano nelle aspettative del lettore che resta appagato dalla lettura stessa.
È il terzo lavoro che leggo delle vicende di Ricciardi, e come i due precedenti mi ha lasciato pienamente soddisfatto, sia pure con quel lieve senso di tristezza per lo più innescato dalla figura del Commissario, e con la curiosità – positiva – di poter venire a conoscenza nelle prossime puntate dell’evoluzione delle sue vicende personali, che l’autore lascia intenzionalmente in sospeso. Le trame di De Giovanni sono più che passabili, ma quello che affascina di più il lettore sono stile, ambientazione e personaggi.
Mentre questa recensione attendeva di venire pubblicata ho trovato il tempo di leggere anche il successivo Per mano mia. Il Natale del Commissario Ricciardi.


Bene, una conferma. Un libro saturo di sostanza, in cui il Fatto viene messo un po’ più in secondo piano rispetto ai primi volumi, e nel quale prende ancora più corpo la figura del Brigadiere Maione, uno dei migliori coprotagonisti che mi è mai capitato di incontrare.
Il Lettore 

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