lunedì 12 giugno 2017

La vita è un ballo fuori tempo

C’è un solo giornalista/opinionista che seguo, sia pure con costanza fallace, con cui condivido in parte idee politiche e musicisti da ascoltare, e del quale cerco di emulare il cinismo e la capacità di attirare antipatie: Andrea Scanzi.
Mi piace come scrive, apprezzo il suo modo di pensare e di non mandarla a dire, e quando mi hanno riferito che aveva scritto anche un romanzo l’ho letto appena mi è stato possibile.




La vita è un ballo fuori tempo è un romanzo particolare, nel quale Scanzi riversa tutto il suo cinismo e la sua arguzia trasformando un romanzetto leggero in una gigantesca presa per il culo nei confronti dei politicanti nazionali, dei loro accoliti e della cultura (!) attuale che più vacua non si può.
Dico subito che mi è piaciuto, attirandomi così addosso gli anatemi di tutti coloro, e non sono pochi, che lo hanno massacrato sulla stampa (sapete già che vado a leggere anche le critiche degli altri, giusto per rendermi conto del numero di coloro che non capiscono un caz non hanno i miei stessi gusti in fatto di libri). Le critiche a questo romanzo si possono spiegare facilmente, come se fosse un diktat governativo: se sei renziano ne devi parlare male. Punto.
Il libro narra le vicissitudini di un giornalista sportivo di mezza età praticamente fallito, il cui nonno e la propria combriccola di amici novantenni, riscopertisi hacker di successo avendo inventato videogiochi dedicati alla terza età, si preparano a mettere in atto una rivoluzione informatica contro il governo dispotico della nazione di fantasia in cui vivono. E contro la subcultura imperante, il nepotismo, i leccaculo, gli arrivisti, i raccomandati e tutti coloro che sguazzano soddisfatti nella merda dilagante della società contemporanea.
Surreali sono la trama e l’ambientazione, improbabili i nomi stessi dei protagonisti e le loro particolarità caratteriali. Il gruppo di vecchietti rivoluzionari ricorda quello del Bar Lume per la simpatia e gli acciacchi senili, con in più la coerenza rivoluzionaria di un Lenin e la fedeltà di un Labrador di nome Clarabelle, con la “e” finale, che passa la vita a scodinzolare e a sbafare crocchette al gusto alchermes. L’attuazione del loro golpe risulterà entusiasmante. Il protagonista, Stevie Vaughan, saprà redimere il suo comportarsi da perfetta nullità con un mirabile colpo di reni finale che farà passare il lettore sopra alla pancetta e alla calvizie incipiente e al suo girare in un’ipotesi di SUV (oltre al baciare male e allo scopare peggio).
Ma il consueto Scanzi si riconosce negli attacchi al Governo romanzato e alla sua politica tanto simile al Nostro attuale: “Stevie pensò che la propaganda bacarozziana aveva davvero fatto un gran lavoro. Persino i disoccupati erano contenti di esserlo. Prima o poi anche i morti, dall’oltretomba, avrebbero chiesto una deroga a Satana in persona per votare Bacarozzi”, e nell’esorbitante quantità di citazioni delle quali il romanzo è costellato: letterarie e musicali, politiche e filosofiche (cosa che gli ha valso le critiche più dure da coloro che lo hanno massacrato, accusandolo di essersi ridotto allo stesso livello di coloro che condanna (!)).
Torno a ripetere che a me è piaciuto e non solo, mi ha strappato spesso qualche risata sulle battute più ciniche, pur essendo permeato di un’amarezza esistenziale di fondo che sta lì a ricordarci che quello sempre un romanzetto è, e la vita vera è infinitamente peggiore.
E con questa perla di saggezza vi saluto e vado a cuccarmi, da buon’ipotesi di vecchietto in un empito di autoconservazione, una manciata di bacche di Gorky. Pardòn, Goji.
Il Lettore 

Nessun commento:

Posta un commento