venerdì 23 giugno 2017

La rete di protezione

Facciamo un salto di una quindicina d’anni e riparliamo ancora di Salvo Montalbano, il commissario più amato d’Italia, protagonista di questo romanzo del 2017, il primo che è stato dettato in corso di stesura, e non scritto di pirsona pirsonalmente, da un Andrea Camilleri con ormai serie difficoltà alla vista.
Ma i problemi agli occhi sembra non abbiano inficiato la sua capacità di creare, visto che ha saputo dettare quello che secondo me è uno dei suoi migliori romanzi sul Commissario di Vigata.




Al fatto che il libro sia stato “dettato” non ci si fa caso più di tanto: la lettura scorre piacevole come sempre e se un appunto si può fare è quello che rispetto all’ultimo post che ho pubblicato, ma coerentemente con i romanzi degli ultimi anni, l’uso del dialetto si è fatto infinitamente più marcato. Marcato al punto che anch’io, pur leggendo tranquillamente il siculo, ho incontrato almeno 5-6 vocaboli dei quali non conoscevo il significato, né è stato possibile risalirci attraverso il contesto. Ci sarebbe stato bisogno di un dizionario siculo-italiano, dal momento che neanche il mio editor, ancora più esperta di me in quella lingua, per qualcuno di essi ha saputo fornirmi dei chiarimenti.
La cosa non mi ha impedito di godermi lo stesso il romanzo, ma capisco che altre persone meno esperte nel decifrare quel dialetto potrebbero avere delle serie difficoltà di comprensione fino al punto di non riuscire a cogliere pienamente la piacevolezza del tutto.
La rete di protezione si articola su due indagini svolte in parallelo dalla solita squadra investigativa che hanno come sfondo psicologico lo stesso concetto: in quanti modi si può cercare di proteggere qualcuno? E le scelte fatte serviranno veramente allo scopo o, al contrario, potrebbero peggiorare la situazione?
Una delle inchieste parte dal ritrovamento di vecchi filmini amatoriali in super8 dal contenuto inspiegabile, mentre l’altra sfrutta, come Camilleri ha già fatto per il fenomeno delle migrazioni o quello delle morti bianche o altri, uno dei temi che vanno per la maggiore sui titoli dei giornali nel periodo in cui sta scrivendo il romanzo: stavolta quello del bullismo.
E in quest’ultimo caso è interessante vedere come Montalbano, e Camilleri stesso, si confrontano con il modo di fare e i modi e il gergo pressoché incomprensibile (per persone della loro età) degli adolescenti odierni, nonché con tutte le innovazioni tecnologiche degli ultimi anni.
Lo sfondo è quello consolidato di una Vigata stavolta assediata da una troupe cinematografica svedese per le riprese di un film e i coprotagonisti confermano ancora una volta le loro proprietà caratteriali, ad eccezione della figura del Questore che una volta tanto, incredibilmente, sposa le tesi di Montalbano, mentre quest’ultimo si mostra sempre più riflessivo e maturo.
Un altro aspetto positivo è che Livia stavolta compare poco. Forse di lei si è rotto le palle anche Camilleri stesso.
Un bel romanzo, che mi sono gustato. E mi ha fatto piacere vedere come anche  un Montalbano, più o meno mio coetaneo, sia sommamente nauseato dallo schifìo televisivo che impera oggigiorno e si riduca a guardare solamente documentari, ora sulla vita dei coccodrilli ora sulla coltivazione del mais, perché quando la accendi non c’è proprio altro di minimamente decente da guardare.
Il Lettore 

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