Uno dei regalini che mi sono
arrivati dal Salone di Torino è questo Elogio
del gatto, della scrittrice parigina Stéphanie
Hochet, che mi dicono sia amica della ben più famosa Amélie Nothomb (e le assomiglia pure).
Visto che il libretto è minuscolo, appena un centinaio di
pagine in un formato più piccolo dell’A5, vale a dire super tascabile, e che la
curiosità era tanta, mi sono messo a leggerlo subito accantonando per un
momento il Premio Pulitzer che avevo iniziato da poco. Potenza del fascino dei
gatti.
Ma anche in questo caso il
risultato è stato inferiore alle
aspettative.
Il tema portante del libro è,
manco a dirlo, un’apologia del gatto
attraverso le citazioni dello stesso operate in letteratura, un po’ quello che
ha fatto Carl Van Vechten con il suo
Una tigre in casa che avevo
recensito qui. La differenza è che
Van Vechten aveva scritto un’opera quasi monumentale analizzando la presenza
del gatto anche in tutte le altre arti estranee alla scrittura, mentre la
Hochet si è limitata a questa e (quasi) solo
nell’ambito dell’ultimo secolo, che era sfuggito allo statunitense dal momento
che aveva pubblicato il libro nel 1920.
Stéphanie
Hochet rievoca la presenza
dei gatti in diverse opere letterarie, da Shakespeare a Balzac, da Eliot a
Maupassant, da La Fontaine a Walt Disney
per poi approfondire ma non più di tanto, citando Tennessee Williams e la sua Gatta
sul tetto che scotta, lo stretto rapporto che intercorre tra la sessualità femminile
felina e quella umana. Ci sarei arrivato anch’io da maschio: la conclusione è
che basta essere femmine per essere sempre pronte a tirare fuori le unghie.
Librettino leggibile, curioso, ma che in fondo lascia il
tempo che trova. E il fatto che sia breve è un vantaggio perché la noia non fa
in tempo ad assalirti che l’hai già finito.
Il Lettore
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