venerdì 5 febbraio 2016

Nemico, amico, amante…

L’altro giorno mi è capitato di soffermarmi su Rai 5 mentre stavano trasmettendo una rappresentazione della Fedra, un’opera sinfonica di Sylvano Bussotti del 1988. Per la serie: se proprio devo accendere la televisione, perlomeno cerco canali che trasmettano un qualcosa di culturale. Ce ne sono pochi, intendiamoci, ma ogni tanto si incappa in qualcosa di interessante.
Non è stato questo il caso.
Questo tipo di musica sinfonica contemporanea ritengo sia del tutto inascoltabile. Ci ho provato, giuro, mi sono sforzato di apprezzarla, di capire perché fosse ritenuta degna di plauso e quindi riproponibile da una grande orchestra, ma più insistevo, più il mio cervello si rifiutava di apprezzare quello che sentivano le mie orecchie. Non entro nei particolari tecnici perché non è questo il luogo, ma la stessa riflessione si può applicare anche in campi diversi.
Va bene la cultura seria, ma penso che una delle sue componenti fondamentali debba essere quella di porsi in modo piacevole. Se ciò che senti non è piacevole, perché dovresti continuare ad ascoltare?
Se ciò che leggi non è piacevole, perché continuare?




È stato questo il caso del Premio Nobel 2013 per la Letteratura, Alice Munro. Ho voluto iniziare la sua raccolta di racconti Nemico, amico, amante… perché non avevo mai letto questa autrice, ma ho faticato ad arrivare al terzo racconto che ho lasciato a metà, dopo che nei primi due mi era capitato di addormentarmi sulle pagine o di dover tornare indietro perché non ricordavo nulla di cosa avevo letto la sera prima.
Per carità, non perché fossero scritti male, anzi! La Munro scrive benissimo, con uno stile da Grande Maestro supportato da una tecnica narrativa mirabile, ma i suoi racconti non sono per nulla piacevoli da leggere. Superficialmente si potrebbe affermare che sono noiosissimi, il che non sarebbe così lontano dalla realtà, ma in questo caso preferisco dire, proprio perché mi sono reso conto di trovarmi di fronte una grande scrittrice ― che purtroppo a più riprese mi ha fatto addormentare ― che non hanno suscitato in me quell’interesse necessario a poter proseguire nel leggere una cadenza lenta, rarefatta, e il cui contenuto è molto lontano dal mio vissuto personale.
Gli spaccati di vita normale rappresentati dalla Munro, privilegiando il contenuto dell’anima femminile, di persone che abitano un mondo diverso dal nostro come può essere quello dell’interno del Canada, non hanno fatto scattare in me nessuna molla di interesse, pur comprendendo benissimo i giochi sottili, velati, enigmatici, che si andavano formando tra i protagonisti e che sono stati realizzati con una grande tecnica.
Grande stile, grande tecnica, noia infinita. È la mancanza della piacevolezza del leggere che mi ha fatto abbandonare il libro, e me ne dispiace perché ho colto la bravura dell’autrice, ma d’altra parte non capisco perché per gustarmi un autore bravo io debba per forza soffrire. Sono sicuro che a molti altri possa piacere veramente molto e insegnare qualcosa, ma non nel mio caso.
O forse, per alcuni libri bisogna avere la fortuna di leggerli al momento giusto. È possibile che non si riesca ad apprezzare un romanzo se lo si prende in mano in un momento sbagliato, quando la nostra esistenza è dominata da pensieri che con il contenuto di quel testo non hanno nulla a che fare o ne sono in contrapposizione.
Magari ci riproverò fra una decina d’anni.
Il Lettore 

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