venerdì 12 febbraio 2016

La passione di Artemisia

Prima del diciannovesimo secolo di donne pittrici ne sono rimaste famose poche. Anzi, probabilmente Artemisia Gentileschi è la prima donna che sia giunta agli apici della fama nel campo della pittura.  Questo perché per secoli, e complice esecrabile la Chiesa cattolica, la condizione della donna è stata relegata a quella di strumento di lavoro e di piacere per l’uomo. Una piaga sociale che non si è ancora finito di combattere. Con questo non voglio dire che io sia favorevole all’innalzamento delle quote rosa: ritengo che nel genere femminile ci sia esattamente la stessa percentuale di imbecilli che nel genere maschile, e di conseguenza un aumento del numero di donne tra i politici lascerebbe del tutto invariato il livello di incompetenza.
Ma torniamo in tema.




Susan Vreeland racconta la storia di Artemisia Gentileschi, donna che ha cercato di farsi valere in un mondo in cui veniva data importanza solamente agli uomini, facendola narrare da lei stessa in prima persona in un’autobiografia che privilegia l’aspetto romanzesco e calca la mano nel denunciare la condizione della donna nel 1600, ma sottolinea anche la psicologia femminile nell’interpretare le situazioni, le tecniche, e soprattutto i sentimenti che dovevano essere rappresentati nei quadri.
Il risultato è un po’ come il realismo caravaggesco (il Caravaggio frequentava spesso casa Gentileschi) che Artemisia ha preso come ispirazione per le sue tele: denso di pathos ma non scevro di una certa retorica, indotta più che altro dalla costrizione dovuta al dover rappresentare determinati soggetti; buon racconto ma manieristico, che mi ha dato il sapore di un romanzo rosa (seppur ricco di tragedia) condito di molti trucchi atti a far intenerire il lettore e soprattutto la lettrice. Ma in fondo si legge bene ed è scorrevole, anche se per dare spazio agli aspetti romanzati la Vreeland ha leggermente modificato la realtà dei fatti e ha condito il tutto con una spolverata della melensaggine che piace tanto a un certo tipo di donne.
Stuprata da un amico di famiglia, tradita negli affetti dallo stesso padre Orazio, torturata in un processo-farsa non dissimile da quelli cui sono sottoposte ancora oggi le donne oggetto di violenze, reiteratamente cornificata dal marito, delusa dagli interessi frivoli della figlia, Artemisia tenta di farsi strada nel mondo dell’arte tra forti osteggiamenti e pregiudizi. Ma la bravura c’è, e riesce ad arrivare ad essere ammirata da personaggi famosi come Cosimo de Medici, dal pronipote di Michelangelo Buonarroti (che le regala pure un pennello appartenuto al celeberrimo prozio) e Galileo Galilei che la prende in simpatia prima di essere travolto dalle accuse di eresia (la Bibbia dice che il sole è puro a immagine di Dio, quindi è impossibile che ci possano essere sopra le macchie che tu dici di vedere con le tue lenti, no? Eehh, birichino di un Galileo…).
Nel romanzo la protagonista ha una sola figlia, mentre nella realtà ne ebbe quattro dal marito Pierantonio Stiattesi, e c’è una forte discordanza di date nel succedersi delle sue permanenze nelle varie città italiane e Greenwich, ma in fondo tutto ciò interessa marginalmente coloro che si vogliono solo gustare un buon romanzo, solo che la Vreeland altera anche i ritmi di lettura concedendo ad esempio molto spazio agli avvenimenti svoltisi a Roma, Firenze o Genova e quasi sorvolando sulle permanenze a Venezia e Napoli.
I sentimenti e i desideri di riscatto della condizione femminile vengono però sempre tenuti in primo piano insieme ai combattimenti interiori tra l’orgoglio e il riuscire a perdonare coloro che ti hanno inflitto dei torti, e il succo del romanzo sta proprio nel capitolo finale in cui la protagonista resta indecisa fino all’ultimo sull’opportunità di riavvicinarsi al padre morente, colui che le ha insegnato tutta la sua arte per poi tradirla, o abbandonarlo al suo destino.
Sicuramente un libro apprezzato molto di più dal gentil sesso che da un burbero maschiaccio come me, ma devo dire che in fondo non l’ho trovato poi così malaccio. Sarà che alle rappresentazioni bibliche ho sempre preferito l’impressionismo, ma se Artemisia Gentileschi fosse vissuta trecento anni più tardi, con la sua passione per i colori accesi sarebbe riuscita a dare dei punti anche a una Georgia O’Keeffe.
Il Lettore 

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