Della serie: se li conosci,
li eviti.
Avevo giusto bisogno di uno
spessore in garage per zoccare il
tavolo da lavoro su cui tengo la morsa,
e il volumone di più di 500 pagine potrebbe essere proprio adatto allo scopo.
Altri utilizzi non ne vedo e, visto che odio disfarmi di qualsiasi tipo di
libro, questa potrebbe essere una soluzione.
Un’ennesima porcheria che
secondo la pubblicità dovrebbe risultare “enigmatica come Dan Brown”; che tratta dei più profondi misteri della storia e
nella quale l’umanità rischia seriamente di scomparire ma per fortuna intervengono
gli eroi di turno. Anche in questa c’è di tutto: terroristi, astronavi aliene, stragi
sanguinose, il trito e ritrito mito di Atlantide, malattie contagiose, sottomarini
nazisti, medici che fanno esperimenti sulla pelle di poveracci, sette segrete
alla “uomini in nero” che controllano i destini del mondo, ricercatori puri ed
integerrimi e soprattutto tanta, ma tanta esagerazione che dopo poco ti satura
irrimediabilmente.
Ho retto poche decine di pagine, con la sfiducia e la delusione che andavano
crescendo man mano che leggevo descrizioni raffazzonate che non lasciavano
vedere situazioni chiare ma facevano restare tutto nel fumoso, in cui non si capiva bene nemmeno chi faceva cosa a chi e
tantomeno il perché, fino a che ho deciso che non potevo continuare a perdere
tempo in questo modo. Perlomeno il tavolo con la morsa tornerà ad essere
stabile.
Dicono (ripeto: dicono, ma non è detto che sia la
realtà) che questo romanzo abbia venduto oltre un milione di copie negli Stati
Uniti e che sia stato tradotto in 20 paesi. Ammesso che ciò sia vero, sarebbe
solo un altro esempio della potenza della pubblicità e della dabbenaggine degli
americani. Anche solo per la palese mancanza di plausibilità delle scene che,
ripeto, sono scritte veramente male.
Per fare un esempio, dopo
poche pagine dall’inizio si incontra una situazione in cui un gruppo di persone
è oggetto di un esperimento: vengono tutte rinchiuse in una stanza nella quale
viene calato (non si sa da dove) un automa
umanoide alto quattro metri che solo con la sua presenza, e non è dato di
sapere in quale modo esattamente, uccide quasi tutti i presenti. E fin qui ci
può anche stare, magari il come e il perché li spiegheranno in seguito, pensi.
Il fatto è che per calare l’automa da non si sa dove utilizzano quattro cavi
d’acciaio ognuno dello spessore di 25
centimetri (sic).
Ora, possibile che nessuno si
sia accorto dell’incongruenza? Un’unica
fune d’acciaio normale del diametro di soli 25 millimetri regge circa 35 tonnellate di carico (da
considerare che raddoppiando il diametro del cavo il carico supportato
quadruplica: una fune da 50 mm regge circa 140 ton). Quanto avrebbe dovuto
pesare l’automa per giustificare
l’uso di 4 funi ognuna con un diametro dieci volte maggiore? A occhio e croce
avrebbe dovuto avere la stazza di una portaerei,
non essere alto solo 4 metri. Senza considerare un’altra faccenda: da che cosa
sono retti i cavi? Quale soffitto avrebbe potuto sopportare un’installazione del
genere?
Ma sembra che nessuno ci
abbia fatto caso, non gli editor né
tantomeno i lettori. Certo, è possibile un refuso, un errore nell’unità di
misura (del resto anche nei telegiornali vengono allegramente scambiati metri
con chilometri e velocità con accelerazioni), un errore di traduzione, o forse
sarà che sono io che sono pignolo, che sto a cercare il pelo nell’uovo. Uffa,
che noioso che sei!
Perdonatemi, sarò fatto così,
ma quando leggo questi sfondoni immancabilmente mi cadono le palle.
Il Lettore demoralizzato
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