Una mia giovanissima amica,
che ringrazio di cuore e alla quale avevano imposto
di leggerlo come parte dei compiti di quarta ginnasio per le vacanze
estive, mi ha gentilmente prestato
questo Il tesoro greco, di Irving Stone, dall’esplicativo
sottotitolo: Il romanzo di Schliemann.
Essendo appena tornato
dalla vacanza in Grecia, non ho
potuto fare a meno di leggerlo immediatamente.
Irving Stone è diventato
famoso come scrittore di biografie fin dalla sua prima opera: Brama di vivere, scritta a soli 31 anni
e nella quale racconta la vita di Vincent
Van Gogh; il suo capolavoro rimane comunque Il tormento e l’estasi, del 1961, imperniato su Michelangelo Buonarroti (e che da
quanto ho sentito merita di essere letto…). Da entrambi i libri sono stati
tratti dei film di successo
interpretati rispettivamente da Kirk
Douglas e Charlton Heston.
Il
tesoro greco risale al
1976 e racconta, più che l’intera biografia di Heinrich Schliemann, il periodo nel quale l’imprenditore tedesco,
archeologo per passione, si dedicò insieme alla moglie, la giovanissima Sophia Engastromenou, bella ma dal nome
del tutto impronunciabile, agli scavi sulla collina di Hasserlik, in Anatolia, alla ricerca della leggendaria città di Troia in merito alla quale la maggior
parte degli studiosi dell’epoca riteneva fosse solamente un invenzione della
fantasia di Omero.
Lui no, per lui trovare Troia era una fissa vera e
propria.
Gira che ti rigira quindi,
tra mille difficoltà, nonostante lo
scetticismo della scienza, i problemi pratici degli scavi e gli ostacoli
politici e burocratici, lo Schliemann Troia l’ha trovata davvero insieme
all’anch’esso leggendario tesoro di
Priamo, come tutti noi abbiamo avuto modo di imparare a scuola (ora non
ricordo se alle elementari, alle medie o al liceo).
(Avete notato nel periodo
precedente la tripletta “all’anch’esso”? Mi pare di non averla mai vista
scritta così prima d’ora, ma mi è sembrato tanto naturale scriverla che
nonostante i dubbi sulla correttezza grammaticale ho deciso di lasciarla).
Basandosi unicamente sulle
testimonianze raccolte nei testi omerici, non creduto e deriso da tutti,
Schliemann ha scoperto otto città diverse disposte su nove strati una sopra
l’altra, a partire dal 3000 a.C. al IV secolo d.C., delle quali la Troia omerica si suppone che
corrisponda al VII strato, riconducibile al 1250-1200 a.C.
Irving
Stone racconta che, dando
sfogo a quella fissazione che lo affliggeva e nella quale possono ravvisarsi
tutti i sintomi di una sindrome maniacale, Heinrich
Schliemann ha commesso negli scavi un’infinità di errori, di quelli che
hanno fatto inorridire gli archeologi veri,
ma forse sono stati proprio questi errori che hanno permesso di raggiungere la Troia leggendaria: un archeologo vero, seguendo criteri scientifici, non
avrebbe mai distrutto, come ha fatto
il tedesco, i ritrovamenti risalenti alle epoche successive che ricoprivano i
resti più antichi, e per questa ragione probabilmente non sarebbe mai arrivato alla
Troia omerica. Criticabile ma affascinante. Così come resta un senso di
rimpianto per il fatto che all’epoca non avessero ancora inventato le reflex, che avrebbero permesso di
documentare passo dopo passo il ritrovamento dei resti di Agamennone a Micene, con la stupenda maschera funeraria indosso e l’ulteriore
ragguardevole tesoro di cui la salma era adornata.
Ma veniamo al libro, che
come dicevo non è una biografia vera e propria ma assomiglia più ad un romanzo,
come del resto è anticipato dal sottotitolo. In effetti Irving Stone, non tralasciando qua e là nel libro le notizie sulla
vita di Schliemann relative al suo passato, dall’adolescenza in povertà alle
reiterate fortune accumulate negli anni e così via, ha voluto imperniare la
vicenda sul periodo per il quale l’archeologo dilettante è diventato famoso, e
ha arricchito la vicenda approfondendo con una miriade di particolari il
rapporto del protagonista con la moglie Sophia, tanto da far capire al lettore
come il vero tesoro greco da lui
trovato, in realtà, sia stata la ragazza stessa che gli era a fianco e lo ha aiutato
e sostenuto nelle sue ricerche.
In pratica il romanzo è basato
sul rapporto tra lo studioso dilettante che ha finito per impostare il futuro
dell’archeologia moderna e la ragazza di trent’anni più giovane che ha preso in
moglie. Rapporto descritto in ogni minimo dettaglio, salvo quelli più intimi.
I particolari sono talmente tanti, dalle usanze greche ai
cibi caratteristici, dal vestiario alla mobilia, dai rapporti affettuosi tra i
coniugi ai loro litigi ai problemi politici tra stati, alla descrizione
minuziosa di ogni singolo oggetto trovato negli scavi eccetera eccetera (ci
mancava solo che avesse raccontato quante volte i protagonisti andavano al
bagno ogni giorno, anche se i paragrafi sulla costruzione delle latrine improvvisate
ci sono…), che se da un punto di vista culturale il venirne a conoscenza può
rivelarsi interessante, da un altro punto di vista essi rendono la narrazione
sovraccarica di orpelli che distraggono dalla linea principale e allungano
terribilmente la lettura. Penso che il libro sarebbe stato ugualmente piacevole
anche con un paio di centinaia di pagine in meno.
Ma si riesce ugualmente ad
apprezzare il fascino della vicenda nonostante la prolissità, e si prova un
senso di soddisfazione quando tutti gli infiniti sforzi dei coniugi vengono
premiati.
Penso proprio che dovrò
consigliarlo a mia moglie, che ha una vera passione per tutto ciò che è greco.
Il Lettore
Nessun commento:
Posta un commento