Torniamo ai fumetti, o
meglio alle strisce, ai cartoons e
alle vignette con le quali Simon Tofield
racconta la convivenza con il suo gatto in una serie esilarante di situazioni
che possono essere riscontrate da tutti i possessori (o meglio: posseduti) di
un felino domestico. Nella vita reale Tofield di gatti ne ha quattro, dal cui
normale comportamento trae lo spunto per ironizzare sulla coesistenza
umano/felina con quell’irresistibile humour britannico che ha permesso al suo personaggio
di diventare in breve tempo un fenomeno del web
con più di 400 milioni di
visualizzazioni su Youtube.
Dagli inizi del Novecento
ad oggi il mondo del fumetto e delle arti illustrate ha sfornato una miriade di
personaggi in forma di gatto (da Mio Mao a Garfield, a Huckle, a Silvestro a
Felix a Jiji a Zorba a Tom a Romeo al Gatto con gli Stivali a Birba a
Gambadilegno a Lucifero allo Stregatto e a tutti gli altri gatti con o senza
nome che ora non mi vengono in mente), e questo simpaticissimo micio è solo uno
degli ultimi della serie di felini che ha saputo divertire milioni di persone.
Simon’s
cat non ha un nome, è
solo il gatto di Simon, a differenza del Nuovo
Arrivato (da chissà dove), un micino pestifero che ne combina di tutti i
colori facendo imbestialire sia Simon che il suo gatto e che in alcuni episodi
prenderà il nome di Teddy.
Il gatto di Simone invece è
un adulto con la fissazione del cibo, adorabile ma tendente all’anarchia come
tutti i gatti e disposto a qualsiasi bassezza, anche a travestirsi da nido, pur
di soddisfare la sua mania alimentare. I personaggi che lo contornano spaziano
da uccelli a porcospini, da cani a conigli e non può mancare il nanetto da
giardino al quale il gatto cerca in più di un’occasione di addossare la colpa
delle proprie nefandezze. Se volessimo fare un paragone lo potremmo avvicinare
al Garfield delle prime strisce:
cinico, menefreghista, egocentrico e tendente alla pinguedine, ma a differenza
del personaggio di Jim Davis il
nostro eroe non si esprime attraverso parole o pensieri ma unicamente con la
gestualità, limitandosi a dei concisi “mao”
quando vuole attirare l’attenzione in maniera più decisa.
Lo stile del disegno è
semplicissimo, lineare e quasi stilizzato con un uso di chiaroscuri molto
limitato, ma nonostante ciò Tofield riesce a rendere perfettamente le tipiche
espressioni dei gatti giocando su minime variazioni della forma degli occhi
(costituiti solo da un cerchio con un punto all’interno), di bocca, naso e
orecchie, trasmettendo con precisione al lettore gli stati d’animo e le
intenzioni che animano le bestiole.
Come possono concordare
tutti coloro che convivono con dei gatti, la casa di Simon è perennemente uno
sfacelo, qualsiasi iniziativa lui si appresti ad intraprendere è destinata al
fallimento e anche l’attività più semplice, come mangiare un panino, dormire o
lavarsi i denti, viene complicata fino all’esasperazione dalla presenza di
questi pericolosi agenti disturbatori in forma di peluche.
Come la bastarda che mi sta
passeggiando sulla tastiera del computer e sembra che ora stia facendo proprio
lo stesso gesto del gatto di Simon: quell’indice puntato ad indicare una
piccola bocca spalancata.
Il Lettore
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