venerdì 25 ottobre 2013

Achille pié veloce

Dopo il commento su Pane e tempesta, da più persone ho ricevuto l’invito a leggere quest’altro romanzo di Stefano Benni (la cosa mi ha fatto piacere nonché stimolato, al punto da spingermi a pensare di inserire su questo blog una rubrica nella quale inserire i vostri consigli: devo rifletterci sopra), e io non so resistere a questo tipo di spinte. Dal momento poi che una di queste persone è stata anche tanto gentile da prestarmelo, non ho fatto passare molto tempo prima di accingermi ad aprirlo.


Leggendo alcuni scrittori mi viene voglia di imitarli, come genere o come stile, di redigere un testo che assomigli a ciò che mi è piaciuto. Ma non è questo il caso.
Con Benni, pur apprezzando la fantasmagorica varietà del suo lessico, non mi succede. Achille pié veloce mi è piaciuto, ma non così tanto da invogliarmi a proseguire nella lettura del suo autore. E sì che, come mi anticipava l’amica che me l’ha prestato, il protagonista fa di professione ciò che io provo ad esercitare a gratis, cioè il valutatore di scrittodattili per una casa editrice. In effetti nel libro ho ritrovato parecchie situazioni nelle quali mi sono imbattuto anch’io, tutte inserite in chiave ironica sfruttando il facile appiglio dell’assoluta incompetenza letteraria della maggior parte di coloro che inviano i propri manoscritti a qualche editore.
Questo romanzo si rivela essere molte cose: un inno alla dimensione mitologica, ma anche una disamina della disabilità; una denuncia sociale, e insieme una gigantesca allegoria delle condizioni attuali del nostro paese in crisi comandato, all’epoca in cui è ambientato il romanzo, da un Nano non meglio identificato (qualsiasi riferimento alla situazione politica attuale è puramente voluto). L’aspetto che più mi ha interessato, sia come stile di scrittura che come contenuti, è il rapporto che lega Ulisse ad Achille, cioè tra la normalità e la disabilità. Benni ha voluto creare un personaggio mostruoso ma geniale, che sembra ricalcare un Elephant Man o un Johnnie Freak o il Raymond di Rain man, conferendogli una mente superiore in un corpo deforme, ed è riuscito nell’intento di articolare dialoghi intelligenti e del tutto plausibili in una situazione decisamente fuori della norma.
Ma nel resto del romanzo, a parer mio, avrebbe forse fatto meglio a risparmiarci un contraltare di sfaccettature oniriche, di miniautori di scrittodattili che gli escono dalle tasche, di elenchi interminabili di esempi atti ad esplicare un qualsiasi concetto: similitudini, metafore, paragoni che dimostrano sì la sfrenata fantasia di Benni e la sua padronanza del lessico, ma quando sono troppi finiscono con lo sfociare in una voluta  ridondanza che a me personalmente stufa; la bonaria presa in giro delle piccole case editrici può anche essere interessante, ma l’insistente sottolineatura, come fosse anch’essa una presa per i fondelli, del protrarsi di lotte sindacali passate di moda dopo gli anni ottanta, dopo un po’ annoia; fa piacere incontrare pagine dense di arguzia o stilisticamente perfette, come l’infuriare della “tempesta di congiuntivi” a pag. 211 e 212, peccato che siano alternate a criticabili passaggi didattici imperniati sul sociale, che a volte scadono in melense ovvietà come nell’affermazione: “Questo paese guarirà.”
Difficile, i medici bravi se ne sono andati tutti all’estero.
Il Lettore

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