venerdì 15 giugno 2018

Mi chiamo Simone


Dopo Ugo e il partenopeo Commissario Criscuolo ecco che Massimo Bertarelli cambia ancora personaggi e ambientazione del suo nuovo romanzo, lasciando stavolta quasi invariato il titolo (dopo Mi chiamo Ugo adesso Mi chiamo Simone), e del tutto lo stesso il creatore e realizzatore della copertina: il mitico disegnatore Claudio “Ferro” Ferracci, che dopo palazzi di Monza, scarpe da poveraccio e cartelli artigianali, si è trovato ad aver a che fare con ombre ed edicole in puro stile “noir”.
È questo il romanzo che vi avevo anticipato di aver già letto a suo tempo in formato elettronico nella sua forma embrionale, appena scritto, sul quale “Max” voleva un parere (da uno che se ne intende, hi, hi, hi…).



E il parere è stato positivo fin da allora: questo romanzo mi è piaciuto subito, fin dall’inizio.
Poi, appena mi è arrivata la copia in cartaceo con tanto di dedica personalizzata, lo ho riletto con piacere per poter scrivere questo post. Visto l’andazzo di questi ultimi tempi avevo pensato che a finirlo ci avrei messo un po’ di più, ma la scrittura di Massimo Bertarelli è come un bicchiere di acqua fresca quando hai sete: dopo due giorni l’avevo finito. Con lo stesso piacere della prima volta. Anzi, ancora maggiore perché conoscendolo già nelle grandi linee mi sono gustato i particolari.
Una cosa che ho notato è la perfezione: non un refuso, non una virgola fuori posto, non una parola inesatta. Io perlomeno non ne ho visti. Quindi una notevole cura editoriale, molto meglio di tante case editrici blasonate, e a monte un notevole impegno dell’autore nel riguardare e correggere.
In tutto il romanzo un solo termine mi ha fatto storcere il naso, di pochissimo, e nessun’altro oltre me ne sarà rimasto colpito. A pagina 166 si legge la frase “Uno dei pochi semafori superstiti lo trovo rosso, manco a farlo apposta, a Biassono, in pieno centro a fianco della caratteristica torre dell’acquedotto.
Quel “caratteristica” a me è sembrato superfluo, ridondante, un’inutile precisazione dal tono vagamente pubblicitario (il perché completo di questa mia critica è spiegato qui). Un appunto leggero, opinabile e per nulla importante, per un aspetto che avrà colpito solo un rompipalle pedante come me.
Per il resto null’altro da dire: la trama c’è, lo stile è fresco e veloce, i personaggi sono ben delineati, le curiosità innescate vengono risolte e tutto questo ne fa un romanzo leggero e piacevole, che si legge con gusto nello stile a cui ormai Massimo Bertarelli ci ha abituato.
Per quanto riguarda i personaggi l’autore si è rifatto alla vicenda di quello che può essere considerato il suo primo romanzo di successo: Mi chiamo Ugo, di cui ho parlato nel link citato sopra. Viene tirato in ballo lo stesso rappresentante delle forze dell’ordine coinvolto in quel libro: il commissario Munafò, a cui viene chiesto aiuto da Simone per aver notato delle cose strane che stanno succedendo nel suo quartiere.
Simone è l’edicolante di una zona di Monza, un quasi cinquantenne con il desiderio di redimersi da un passato da delinquente che gli ha fatto passare qualche anno in carcere. Narra in prima persona e al tempo presente di come, essendo venuto a conoscenza che alcuni tipi poco raccomandabili stanno agendo vicino a casa sua, decida di: A) informare la polizia; B) fare qualcosa per conto proprio (hai visto mai che i piedipiatti sono troppo lenti). Mentre, in alcuni capitoletti, dei fatti che succedono a Munafò sono narrati in terza persona.
Simone è attorniato da una schiera di amici e conoscenti simpatici e ben caratterizzati, a partire dall’anziana e dolce Paola, che contribuiscono a loro volta a meglio descrivere il carattere di Simone stesso.
Tecnicamente, se nei suoi romanzi precedenti Massimo Bertarelli aveva lasciato che lo influenzassero Gianrico Carofiglio, Andrea Camilleri e Maurizio De Giovanni, in questo ha lasciato che a farla da padrone fosse lo stile di Lee Child. Gli è riuscito benissimo: le scene d’azione sono precise, dinamiche e coinvolgenti, lo stesso Child non avrebbe saputo fare di meglio. Complimenti.
Che dire di più? Se volete un romanzo ben scritto e pienamente godibile, da tutti, leggetevi le avventure di Simone (che smielatura! Che pubblicità smaccata! Quasi quasi mi faccio schifo da solo…) e non ve ne pentirete.
Per chi fosse interessato: stiamo organizzando una presentazione qui a Perugia dell’altro romanzo di Massimo Bertarelli, Giallo d’Ischia, nella quale parleremo anche di questo Mi chiamo Simone. Probabilmente sarà in settembre e ci sarà anche lo stesso Massimo insieme a Claudio Ferracci. Non vedo l’ora, dal momento che con Massimo ci conosciamo solo epistolarmente e non ci siamo mai visti di persona pirsonalmente.
Vi terrò informati.
Il Lettore

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