venerdì 22 giugno 2018

Il metodo Catalanotti


A dispetto delle numerose recensioni entusiastiche che si sono affannate a spiegare quanto questo romanzo sia eccezionale (14 su 16 su IBS - ! -), e che a me hanno confermato solo quanto la gente non capisca nulla in realtà di ciò che sta leggendo e sia dotata di una capacità critica prossima allo zero assoluto, devo confessare che a me  pirsonalmente questo è il primo romanzo di Montalbano che non mi è piaciuto proprio.
Un calo di stile deludente da parte di Andrea Camilleri, oserei dire più che un calo un vero e proprio tonfo, e me ne dispiace davvero.

  

L’indagine in se stessa ci potrà anche stare, anche se i presupposti su cui si basa sono alquanto inverosimili (come ad esempio il fatto che un Mimì Augello prenda una cantonata in maniera così grossolana), ma a me non sono piaciuti principalmente il modo di narrare, diverso dal solito, molto più superficiale, facendo troppo ricorso a situazioni ormai da tempo consolidate e stereotipate fino a raggiungere una certa patina di stucchevole, e soprattutto il comportamento di un Salvo Montalbano sulla via del rincoglionimento senile.
E' come se Camilleri si fosse fatto un elenco delle cose che di Montalbano in genere piacciono e abbia insistito (ed esagerato) su quelle.
Ora, capisco benissimo come un sessantenne possa pure perdere il lume della ragione per una donna molto più giovane, ma il rapporto tra il Commissario e il nuovo capo (provvisorio) della Scientifica mi è apparso nettamente sopra le righe, veramente esagerato. Con una donna, poi, che in altri momenti della sua vita Montalbano stesso avrebbe mandato a cagare subito (senza farsene tanti pensieri) per la sua freddezza e antipatia.
Invece nasce la cotta fulminante, tanto da far (finalmente!) mettere da parte Livia e rispondere sgarbatamente a Fazio. Addirittura.
E stavolta risulta esagerato anche il rapporto idilliaco di Montalbano con il cibo, tirato in ballo più del solito nelle situazioni più diverse fino a sfiorare situazioni che non sarebbero dispiaciute al Ferreri de La grande abbuffata.
Per dirla tutta, ma di questo non ne sono sicuro al 100%, secondo me è stato leggermente modificato anche il modo di scrivere nello stretto dialetto siciliano dell’agrigentinese. Molti termini non mi sono sembrati i soliti, quelli a cui ero abituato, ma sono stati variati di poco: “amuninni” invece che “iamuninni”, per “andiamo”, e così via anche per altri, ma è tranquillamente possibile che in questo mi sbagli io.
Questo è un romanzo che può soddisfare quelle persone che si sono avvicinate a Montalbano solo da poco, non coloro che lo conoscono fin dall’inizio e hanno letto tutte le sue avventure.
Il Lettore

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