Cambiamo collana (e anche
mezzo espressivo passando dal romanzo al fumetto), ma rimaniamo sempre in
argomento gastronomia.
Il maestro Jiro Taniguchi, riconosciuto come uno
dei grandissimi del fumetto nipponico e da poco scomparso, ha disegnato questo Gourmet su testi del saggista Masayuki Qusumi, e l’opera del 1998 è
diventata ben presto un classico che ha raggiunto l’occidente nel 2003.
Goro
Inogashira (quello che
vedete nella copertina qui sopra), è il protagonista, un agente di commercio
qualunque sulla trentina, una persona qualsiasi senza caratteristiche
particolari. Molto solitario e di poche parole (tanto è vero che il titolo
originario è Kodoku no Gurume — Il buongustaio solitario), apprezza il mangiare bene e dal momento che è
sempre in giro per lavoro si ferma a pranzare sempre in posti nuovi e per lo
più sconosciuti, alla ricerca di pietanze che lo soddisfino.
Basta, come trama tutto qui. Tutto qui? Vi domanderete. Esatto, tutto qui. Non succede nulla, non vi
è una vicenda da sviluppare, ogni raccontino tratta della stessa medesima cosa:
lui si ferma a pranzo da qualche parte e mangia sempre cibi nuovi, che siano a
lui già conosciuti o meno. Punto. E come ha fatto ad avere successo? Vi
domanderete ancora.
Perché Taniguchi era
veramente un maestro, dotato di una
finezza sopraffina e di una sensibilità straordinaria, con una ricercatezza dei
particolari veramente fuori della norma. Il fumetto è un’apologia della
pacatezza, della tranquillità, della normalità e del quieto vivere, condito dei
gusti e dei sapori multiformi dei cibi giapponesi dei quali il protagonista va
alla continua ricerca, preferendo i locali più semplici e a buon prezzo ma che possiedano
quel quid in più che glieli faccia
ricordare con piacere.
Un po’ di tempo fa mi è
capitato di vedere su Rai 5, uno dei
pochissimi canali che propongono un palinsesto perlomeno decente, un
documentario in cui lo stesso Jiro
Taniguchi ripercorreva gli stessi itinerari gastronomici del suo
protagonista, cambiando solo la contestualizzazione trovandosi a Parigi invece che in Giappone. Nel
documentario Taniguchi appariva tale e quale come il suo protagonista: un piccolo signore pacato e buongustaio a confronto con rinomati chef francesi che replicavano la cucina della sua terra d’origine. Allora
mi è presa subito la voglia di leggere questa sua opera e la prima volta che ho
incontrato il Gran Capo Ferro alla Biblioteca delle Nuvole me la sono fatta
ritrovare e consegnare (solo lui è capace di miracoli come questo: gli dici un
autore o un titolo e lui te lo ripesca immediatamente tra i cinquecento metri e
passa di scaffalature fitte di qualsiasi tipo di albi).
Il libro è molto lento e non vi
succede nulla, ma si fa apprezzare un po’ per la varietà dei cibi che sono protagonisti di ogni
racconto e che ti fanno venire voglia di fare un saltino in Giappone, un po’
per i disegni in un bianco e nero
arioso, dal tratto di pennino fine e ricchissimi di particolari il cui esame
rallenta ancora di più la lettura, e un po’ per le atmosfere rilassanti, tranquille che riesce ad evocare.
I raccontini sono tutti dalle
2 alle 4 pagine, ogni tavola si sviluppa per lo più su quattro righe variando le
dimensioni dei riquadri con zoommate singole ad inquadrare ogni piatto
descritto e lo stile è molto occidentalizzato, dando la preferenza a rappresentazioni
antropomorfiche dalle quali sono esclusi i tratti somatici tipicamente
orientaleggianti.
Un bel volume, lento ma bello.
Ora ne devo leggere un altro dello stesso autore che ho preso insieme a questo.
Vi terrò informati.
Il Lettore
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