venerdì 13 ottobre 2017

Gourmet

Cambiamo collana (e anche mezzo espressivo passando dal romanzo al fumetto), ma rimaniamo sempre in argomento gastronomia.
Il maestro Jiro Taniguchi, riconosciuto come uno dei grandissimi del fumetto nipponico e da poco scomparso, ha disegnato questo Gourmet su testi del saggista Masayuki Qusumi, e l’opera del 1998 è diventata ben presto un classico che ha raggiunto l’occidente nel 2003.




Goro Inogashira (quello che vedete nella copertina qui sopra), è il protagonista, un agente di commercio qualunque sulla trentina, una persona qualsiasi senza caratteristiche particolari. Molto solitario e di poche parole (tanto è vero che il titolo originario è Kodoku no GurumeIl buongustaio solitario), apprezza il mangiare bene e dal momento che è sempre in giro per lavoro si ferma a pranzare sempre in posti nuovi e per lo più sconosciuti, alla ricerca di pietanze che lo soddisfino.
Basta, come trama tutto qui. Tutto qui? Vi domanderete.  Esatto, tutto qui. Non succede nulla, non vi è una vicenda da sviluppare, ogni raccontino tratta della stessa medesima cosa: lui si ferma a pranzo da qualche parte e mangia sempre cibi nuovi, che siano a lui già conosciuti o meno. Punto. E come ha fatto ad avere successo? Vi domanderete ancora.
Perché Taniguchi era veramente un maestro, dotato di una finezza sopraffina e di una sensibilità straordinaria, con una ricercatezza dei particolari veramente fuori della norma. Il fumetto è un’apologia della pacatezza, della tranquillità, della normalità e del quieto vivere, condito dei gusti e dei sapori multiformi dei cibi giapponesi dei quali il protagonista va alla continua ricerca, preferendo i locali più semplici e a buon prezzo ma che possiedano quel quid in più che glieli faccia ricordare con piacere.
Un po’ di tempo fa mi è capitato di vedere su Rai 5, uno dei pochissimi canali che propongono un palinsesto perlomeno decente, un documentario in cui lo stesso Jiro Taniguchi ripercorreva gli stessi itinerari gastronomici del suo protagonista, cambiando solo la contestualizzazione trovandosi a Parigi invece che in Giappone. Nel documentario Taniguchi appariva tale e quale come il suo protagonista: un piccolo signore pacato e buongustaio a confronto con rinomati chef francesi che replicavano la cucina della sua terra d’origine. Allora mi è presa subito la voglia di leggere questa sua opera e la prima volta che ho incontrato il Gran Capo Ferro alla Biblioteca delle Nuvole me la sono fatta ritrovare e consegnare (solo lui è capace di miracoli come questo: gli dici un autore o un titolo e lui te lo ripesca immediatamente tra i cinquecento metri e passa di scaffalature fitte di qualsiasi tipo di albi).



Il libro è molto lento e non vi succede nulla, ma si fa apprezzare un po’ per la varietà dei cibi che sono protagonisti di ogni racconto e che ti fanno venire voglia di fare un saltino in Giappone, un po’ per i disegni in un bianco e nero arioso, dal tratto di pennino fine e ricchissimi di particolari il cui esame rallenta ancora di più la lettura, e un po’ per le atmosfere rilassanti, tranquille che riesce ad evocare.
I raccontini sono tutti dalle 2 alle 4 pagine, ogni tavola si sviluppa per lo più su quattro righe variando le dimensioni dei riquadri con zoommate singole ad inquadrare ogni piatto descritto e lo stile è molto occidentalizzato, dando la preferenza a rappresentazioni antropomorfiche dalle quali sono esclusi i tratti somatici tipicamente orientaleggianti.
Un bel volume, lento ma bello. Ora ne devo leggere un altro dello stesso autore che ho preso insieme a questo. Vi terrò informati.
Il Lettore 

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