La fisica quantistica è stata ipotizzata negli anni Venti del secolo
scorso da alcuni degli scienziati di cui più tardi parlerò. Ne hanno formulato
le equazioni, hanno spiegato come avrebbe dovuto funzionare (e il bello è che
funziona!), e grazie ad essa è stato possibile realizzare un mucchio delle
invenzioni che abbiamo sotto gli occhi tutti i giorni: il laser, i
transistor, internet, i computer
superveloci, i telefoni cellulari, le onde gravitazionali eccetera eccetera.
Tutto grazie alla fisica quantistica. Il fatto è che da
allora, e a distanza di un secolo, sulla fisica quantistica nessun’altro ci ha capito più un cazzo.
Tant’è vero che la stessa Gabriella Greison dice a pag. 148 di
questo libro: “Negli anni successivi,
fino ad oggi (il libro è stato pubblicato nel 2016, NdF), quel che si fa sulla fisica quantistica è
solo discutere i due filoni di pensiero: quello legato alla teoria
probabilistica della fisica quantistica di Niels
Bohr, e quello più realista di Albert
Einstein (…) visto che ancora oggi gli
interrogativi non sono stati del tutto risolti.”
Insomma, a parte coloro che l’hanno
ideata e sviluppata, e nonostante questa teoria abbia permesso una caterva di
invenzioni, dopo di loro nessun’altro ci ha capito più un’emerita minchia.
In questo libro Gabriella Greison rievoca e descrive nei minimi particolari una cena, organizzata dai reali del Belgio, che ha avuto luogo a
Bruxelles il 29 ottobre 1927 dopo lo svolgimento del Congresso Solvay al quale
hanno partecipato i più eminenti fisici dell’epoca: alla cena erano presenti
tra gli altri i già nominati Niels Bohr
e Albert Einstein, oltre a Marie Curie, Max Born, Louis de Broglie
e altri eminentissimi, con una concentrazione di Premi Nobel vicina alla
saturazione. Pochissimi i fisici famosissimi non intervenuti, ma dei quali nel
libro si parla lo stesso diffusamente: Werner
Heisemberg (quello del principio di indeterminazione), Wolfgang Pauli (il Lupo), Erwin Schrödinger (quello del paradosso
del gatto), Enrico Fermi (il giovane italiano). Con loro c’erano il re e la regina del Belgio e qualche amico o
conoscente ovviamente all’altezza del rango degli altri.
La Greison descrive l’inquadramento
storico con particolare riguardo all’evoluzione
della fisica in quel momento, fervente di incredibili innovazioni quali appunto
i quanti e la relatività, quindi racconta della cena, delle portate, dei vini e
delle peculiarità anche simpatiche di ogni commensale. Per ogni fisico ne
tratteggia la biografia, le particolarità caratteriali, racconta della vivacità
di Einstein, della serietà della Curie, del brio della regina Elisabetta, dell’ombrosità
a senso unico di Bohr. Il momento culminante
della cena si avrà quando un Bohr incontenibile ed estremamente concentrato coglierà
l’occasione di approcciare Einstein in una pausa fumo (li avevano messi apposta
ai lati opposti del tavolo allo scopo di non far sorgere screzi fra loro) per insistere
sulla sua teoria probabilistica. In quell’occasione Bohr vincerà la competizione
verbale, ma Einstein accetterà elegantemente la sconfitta e avrà modo di rifarsi negli anni successivi.
L’incredibile
cena dei fisici quantistici
è un libro che io ho trovato interessante e lo sarà di sicuro anche per altri, a patto che uno sia incuriosito dalla
storia della fisica e dalla teoria dei quanti. Se non vi interessano queste due
cose lasciatelo pure perdere, vi annoiereste a morte e non ci capireste un
granché. Perché la Greison spiega le teorie scientifiche per filo e per segno
analizzando pure le differenze di interpretazione tra un fisico e l’altro e la
loro evoluzione nel tempo, e in realtà la cena in se stessa, al di là della
storicità dell’evento mondano (e di qualche pettegolezzo ormai passato di moda),
serve solo come contestualizzazione.
Questa cosa infatti non deve
essere andata tanto giù nemmeno agli editors
della Salani, vista la quantità di refusi o veri e propri errori che ci ho
trovato. Più che altro complete omissioni del verbo nelle frasi. Soprattutto
nei brani che spiegano una qualche teoria scientifica, ogni tanto manca
inspiegabilmente il verbo in qualche frase, e questo lascia sospettare come gli
stessi editors non sapessero minimamente
dare un significato a ciò che stavano leggendo e di conseguenza non si
accorgessero nemmeno se ci fosse bisogno di un verbo o meno.
Potenza della fisica!
Il Lettore
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