Evvai! Ce l’ho fatta! Ho terminato questo romanzo! Ma
ti sei rimbecillito? Finito! Finito! (Colonna sonora: il club di Topolino dal film Full Metal Jacket). Sì, sei
proprio scemo. Non puoi capire, l’ho finito! Sì, questo mi pareva di averlo sospettato, ma cosa ci sarebbe di così
sensazionale? Avevo cominciato a leggerlo sette mesi fa! Diavolo, hai
un po’ rallentato la velocità di lettura?
No, è che questo romanzo di Peter May mi era stato caldamente
consigliato da più di una persona e me lo avevano anche fornito in forma
elettronica, ma il fatto è che, dopo averlo iniziato, come lettura non mi aveva mai preso, anzi, per i miei gusti era decisamente noioso, e così ogni
volta che dovevo riprenderlo mi metteva pensiero e quindi vi ho attinto solo le
volte che non avevo proprio altro da leggere.
Contento
tu…
Già è tanto che l’ho
terminato senza abbandonarlo per strada, ma il bello è che sarebbe la prima
puntata di una trilogia, e mi hanno
gentilmente rifornito anche dei seguiti.
Presto metterò mano anche a quelli. Per cancellarli
direttamente.
Fin
McLeod è un poliziotto
scozzese che viene chiamato a indagare su un omicidio commesso nell’isola
di Lewis con lo stesso modus operandi
di un altro assassinio effettuato a Edimburgo, e per questo gli inquirenti
pensano che a commetterli sia stata la stessa persona. A McLeod è morto un
figlio da poco (e ti pareva che il protagonista non avesse un qualche problema)
e tanto bene lui stesso è nato e cresciuto nell’isola di Lewis, per cui la
vicenda dell’omicidio finirà con l’intrecciarsi alle sue vicissitudini
personali che l’autore ripercorre alternando capitoli al tempo presente,
narrati in terza persona, a capitoli
(narrati in prima persona da egli
stesso) nei quali McLeod era dapprima bambino, poi fanciullo e quindi
adolescente fino alla sua partenza dall’isola per frequentare l’università.
Ovviamente alla fine McLeod
chiarirà tutti gli aspetti dell’omicidio ― dalle motivazioni come minimo
discutibili ― affondando nel proprio passato e portando alla luce segreti che
gli abitanti dell’isola avevano fatto di tutto per tenere nascosti.
Perché la trama del romanzo è
più che altro una scusa per indagare sulla vita degli abitanti dell’isola di Lewis e delle altre isole sperdute
nell’oceano artico dove le condizioni di vita sono proibitive. In particolare Peter May descrive accuratamente ― e vi
dedica un mucchio di pagine ― il modo particolare di cacciare la sula, un grosso uccello marino che nel
romanzo viene chiamata guga, per
farne un piatto prelibato. Un sistema usato da centinaia di anni e che per un
adolescente nato in quelle isole assume il significato di una vera e propria
iniziazione all’età adulta. Tutto ciò che succede nel corso della caccia, che
si svolge su uno scoglio desolato e sperduto nell’immensità dell’oceano, non
deve assolutamente uscire dall’interno del gruppo di uomini che vi partecipano,
e ciò che vi succede la volta in cui McLeod vi partecipa da ragazzo avrà un
significato importante sulle motivazioni dell’omicidio su cui si trova ad indagare
vent’anni più tardi.
Per arrivare a queste
motivazioni e scoprire l’assassino ci ho messo sette mesi. Non posso però affermare che sia un brutto romanzo ―
nelle pagine finali si riscatta un pochino anche come velocità di lettura ―
perché spunti interessanti in fondo ce ne sono (ma proprio in fondo), e ammetto
che qualcuno potrà anche rimanerne soddisfatto, ma quando a me una cosa non
prende dall’inizio poi ce ne vuole per farmi cambiare idea.
Il Lettore
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