Subito dopo aver pubblicato
il post su Frederick Forsyth mi sono messo a leggere le notizie on line e tanto bene in prima pagina ho
trovato il faccione dell’inglese che ha annunciato di voler dire addio alla scrittura.
La cosa mi ha stupito, e se
pur ne comprendo i motivi ― a 78 anni
uno ha tutti i diritti di voler smettere di lavorare, e chissà perché mi viene
in mente Andrea Camilleri ― mi è difficile pensare a un attempato Michelangelo che lascia prendere la
ruggine al martello o a un Galileo
che non guarda più dentro un cannocchiale.
La ragione addotta è che l’autore
non ce la fa più a girare per il mondo
per documentarsi sui suoi nuovi lavori e la moglie lo ha amorevolmente consigliato
(costretto) a piantarla. Già, perché per ogni nuovo romanzo Forsyth andava
personalmente nei luoghi dove questo era ambientato per scriverne con cognizione di causa e ogni nuovo
progetto necessitava quindi di mesi di viaggi e tribolazioni, cosa che a 78
anni può risultare faticosa oltreché pericolosa, visto che i paesi in cui doversi
recare erano molto spesso in guerra.
Del resto, dopo almeno dieci bestsellers e 70 milioni
di copie vendute nel mondo uno può anche permettersi di tirare i remi in barca.
Peccato, perché proprio pochi
giorni fa dicevo che mi sarebbe piaciuto ancora leggere un altro suo romanzo
all’altezza de Il giorno dello sciacallo
o Il Vendicatore, visto che quelli
che sono venuti dopo erano restati sotto le aspettative. Di suo mi è rimasto di
leggere solo l’ultimo libro uscito: L’outsider, il romanzo della mia vita,
che è la propria autobiografia, e prima o poi lo leggerò, perché anche se non è
un romanzo in ogni caso lo stile sarà quello di sempre.
E poi resta sempre la speranza che cambi idea, o che magari
ambienti un thriller vicino a casa sua tra le campagne del Buckinghamshire…
Il Lettore
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