“I gatti sono le tigri dei poveri diavoli” ha scritto Théophile Gautier, e da povero diavolo
che convive con due di queste piccole tigri non posso che dargli ragione. E lo conferma
anche Mèry: “Dio ha creato il gatto per dare all’uomo il piacere di accarezzare la
tigre” come si legge nella pagina delle dediche di questo completissimo
trattato sui gatti che è stato scritto da Carl
Van Vechten a cavallo del 1919 e pubblicato per la prima volta nel 1920.
Nell’ultima pagina l’autore
stesso tiene a precisare che per scriverlo ci ha impiegato circa 14 mesi
durante i quali la sua gatta Feathers,
da cucciola che era, è diventata “una
palla di pelo color crisantemo, rossa, arancione, bianca con delle sfumature
nere e adesso sta per diventare mamma”. E prosegue: “Feathers è stanca di questo libro. Ultimamente me l’ha detto più di una
volta. A volte con gli occhi, mi guardava con impazienza mentre stavo
scrivendo. Altre volte ha usato le zampe, ha preso a grattare con disprezzo i
fogli che appallottolavo e gettavo per terra. A volte sale sulla mia scrivania
e si insinua fra me e il mio lavoro. (…) Mentre ero impegnato a scrivere questo
libro ha sperimentato la dentizione, l’amore e adesso aspetta la maternità. Mi
fa sentire piccolo e inutile. Ciò che ho fatto in quattordici mesi sembra ben
poca cosa in confronto a ciò che ha fatto lei”.
E considerate che Carl Van Vechten, giornalista,
scrittore e fotografo statunitense (tra gli altri ha lasciato anche i suoi
ritratti di Frida Kahlo, Francis Scott Fitzgerald, Cab Calloway e Gertrude Stein), per scrivere questo Una tigre in casa di lavoro ne ha svolto a manciate, perché per l’epoca era il più esauriente
compendio sui gatti che fosse mai stato scritto non tanto dal punto di vista
prettamente biologico o sul come si trattano i gatti, quanto dal lato
sociologico, storico, mitico, filosofico, artistico, letterario, esoterico e
comportamentale. Oggi di libri sui gatti in libreria se ne trovano scaffali
pieni, ma nel 1920 non credo che, a parte qualche pubblicazione scientifica per
i veterinari, ve ne fossero molti altri.
Van Vechten ha riempito quasi
quattrocento pagine di dati,
informazioni, curiosità, aneddoti sui gatti nella storia, nella mitologia,
nella musica, nel teatro, nella letteratura, nell’arte, nella legge, nel
folklore, nella poesia, nelle tradizioni e nelle usanze di tutto il mondo,
comprese le più macabre quando i gatti venivano perseguitati per i loro
presunti legami con il mondo dell’occulto, condendo il tutto con una fine
ironia e anche un po’ di umorismo.
Con questo non sostengo che
il libro faccia ridere e, a dire la verità, a causa della mole di dati e
citazioni che si susseguono l’una all’altra a tratti è un poco pesante, ma si
lascia leggere comunque per i molteplici interessi
suscitati proprio da questa pletora di informazioni.
Degni di riflessione i
commenti dell’autore, come quando si chiede, riprendendo un interrogativo di Philip Gilbert Hamerton, come mai
nonostante l’estrema bellezza dei gatti essi non siano stati dipinti che da pochi
grandi pittori. E da qui un susseguirsi di considerazioni sulla muscolatura possente
e nervosa del gatto così difficile da rendere in modo naturale con un pennello,
sul carattere schivo, sull’antipatia suscitata in molti uomini per il modo di
fare indipendente. O i pensieri musicali sul variegato ventaglio di miagolii e
fusa che può erompere da qualsiasi micio.
Un libro piacevole e
interessante che non va letto come un romanzo ma a piccole dosi, di quelli che vanno assaporati non più di una
pagina al giorno per gustarsi meglio la miriade di notizie delle quali Van
Vecthen lo ha riempito e che indubbiamente soddisferà tutti coloro che amano i
gatti. Da leggere anche le moltissime note
dell’autore radunate a fine libro, tra le quali non sfigurano notizie curiose
che avrebbero benissimo potuto trovare posto nel testo principale.
Va bene, ho capito, piantala
di zampettare sulla tastiera del computer,
ora ti do da mangiare!
Il Lettore
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